La regione del polo sud lunare ospita alcuni degli ambienti più estremi del Sistema solare: è fredda, sorprendentemente fredda, e costituita da aree che sono sia costantemente esposte alla luce solare sia perennemente al buio. I crateri, o almeno alcuni di essi, sono un esempio di struttura – dei quali il polo sud è pieno – che sperimentano l’assenza perenne di luce. Il cratere Shackleton è uno di questi.
La ragione di ciò è da ricercarsi nell’angolo, basso, con il quale la luce colpisce la superficie dei poli. Una condizione per cui a vedere uno spiraglio di luce sono solo i bordi di questi crateri, mentre il loro interno rimane costantemente in ombra.
Superfici fredde, dunque, con temperature che il Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa – lanciato nel 2009 con l’obiettivo di studiare il nostro satellite – ha stimato scendere fino a -233 gradi Celsius. Ambienti perfetti per la conservazione dell’acqua sotto forma di ghiacci per millenni, dunque, o almeno così si credeva. Nonostante le temperature da fare paura persino a The Iceman, infatti, l’acqua presente – e questa è la notizia – starebbe lentamente sfuggendo dallo strato più sottile e superficiale dei ghiacci presenti sulla superficie di questi crateri. A dirlo sono i risultati di uno studio condotto da un team di ricerca del Goddard Space Flight Center della Nasa e pubblicato su Geophysical Research Letters.
«Le persone immaginano che alcune aree in questi crateri polari intrappolino l’acqua e che la storia finisca qui», dice il ricercatore che ha guidato lo studio, William Farrell del Goddard Space Flight Center della Nasa. «Ma ci sono particelle di vento solare e meteoroidi che colpiscono la superficie, e questo può condurre a reazioni che si verificano in genere a temperature superficiali più calde».
A differenza della Terra, che ha un’atmosfera spessa, la Luna non possiede un simile strato che ne protegga la superficie. Dunque, quando il Sole con le particelle cariche costituenti il vento solare “inonda” la superficie lunare, questa non è schermata dal flusso, che può così rompere i sottili strati di ghiaccio e sollevare le molecole d’acqua allontanandole dalla loro posizione. Un meccanismo, questo, causato anche dai meteoroidi che costantemente impattano il nostro satellite. Il risultato, in entrambi i casi, è lo spostamento di molecole d’acqua, anche a chilometri di distanza dal loro sito originale, per via della bassa gravità e dell’assenza di atmosfera.
«Quindi», spiega Dana Hurley, coautrice dell’articolo, «ogni volta che abbiamo uno di questi impatti, uno strato molto sottile di grani di ghiaccio si diffonde dalla superficie, è esposto al calore del Sole e all’ambiente spaziale e infine sublimato o perso per altri processi ambientali».
Pertanto quelle aree – che rappresentano una sorta di “permafrost” lunare, osservato ai poli utilizzando lo strumento Lamp del Lunar Reconnaissance Orbiter, permafrost la cui presenza è stata prima dibattuta e successivamente confermata da evidenze dirette – potrebbero avere solo duemila anni, e non già milioni o miliardi di anni come ci si potrebbe aspettare. «Non possiamo pensare a questi crateri come gelidi punti morti», conclude Farrell». Un motivo in più per il quale la Nasa, nel 2024, vuole inviare, come parte del suo programma Artemis, gli astronauti proprio lì, nel polo sud lunare.