Nel lontano Sol 128 il sismografo marziano Seis (Seismic Experiment for Interior Structure), portato sul Pianeta rosso dalla sonda InSight della Nasa, rilevava quello che fu battezzato il primo “martemoto”. Sulla Terra era il 6 aprile 2019 e da allora gli scienziati si sono messi al lavoro per studiare le scosse del terreno su Marte. In un certo senso, le letture della sonda hanno portato avanti la scienza che iniziò cinquant’anni fa con le missioni Apollo sulla Luna.
Ma come si può provare l’emozione di un “martemoto” stando qui sulla Terra? Ci hanno pensato i sismologi del Politecnico di Zurigo che, nell’ambito della collaborazione Marsquake Service, hanno simulato i sismi che si sperimenterebbero sul suolo marziano, assieme alle scosse lunari e ai ben noti terremoti.
I ricercatori hanno raccolto e analizzato dati acquisiti da InSight durante le scosse avvenute a Sol 128 e 173. La sensibilità di Seis è stupefacente, tanto da dover costringere gli scienziati ad amplificare il segnale marziano di un fattore enorme – circa dieci milioni di volte il segnale originario. Anche i segnali provenienti dalla Luna sono stati amplificati considerevolmente – un milione di volte.
Combinando assieme i segnali dai tre diversi mondi, gli studiosi del Marsquake Service hanno ricreato le scosse al simulatore di terremoti di Zurigo, sperimentando in prima persona i differenti sismi.
Lo studio dei sismi è importante perché permette di ricavare importanti informazioni circa la struttura geologica di un pianeta. Infatti, mentre sulla Terra le onde sismiche persistono fino al massimo pochi minuti, sulla Luna possono durare anche delle ore intere. Ciò è dovuto al fatto, piuttosto sorprendente, che la crosta terrestre è più omogenea di quella lunare. La Luna è stata bombardata da meteoriti per milioni di anni, i cui impatti hanno fratturato in profondità la crosta lunare. Sulla Terra, invece, queste ferite meteoritiche sono state sempre guarite dai processi di riscaldamento interno, vulcanesimo, tettonica a placche, erosione e sedimentazione, assenti sulla Luna. Nel corso del tempo, tutti questi eventi hanno fuso assieme le rocce creando una crosta relativamente ininterrotta e stratificata. Le tracce degli impatti meteoritici sono state così cancellate.
E su Marte? Nonostante la sismica marziana sia appena agli inizi, le scosse sembrano essere una via di mezzo tra quelle terrestri e lunari. La loro durata infatti varia da dieci a venti minuti. Agli scienziati non è ancora chiaro se la parte fratturata di crosta sia profonda, come sulla Luna, oppure se più sottile. Inoltre, sembra che vi siano due tipi di sismi.
«Attualmente stiamo osservando due famiglie di scosse su Marte», spiega Simon Stähler, sismologo del Politecnico di Zurigo. «La prima tipologia è ad alta frequenza, molto più simile alle scosse lunari di quanto previsto. La seconda è a frequenza molto più bassa, e riteniamo che questo possa essere causato dalla distanza. Queste scosse a bassa frequenza si sono generate molto distanti dal sismografo.»
Le analisi dei dati sismici di Marte sono rese ancora più complesse dal fatto che sul Pianeta rosso è presente soltanto un sismografo. I ricercatori controllano i dati provenienti da Seis due volte al giorno e li confrontano con quelli ricavati sulla Terra agli albori della sismologia, quando nel mondo c’era solo qualche sismografo.
Collaborazioni internazionali come il Marsquake Service sono preziose perché, grazie al monitoraggio continuo di InSight, i ricercatori possono utilizzare i dati non solo per comprendere la natura geologica di Marte, ma anche per studiare come si sono formati i pianeti interni del Sistema solare.
I ricercatori del Politecnico di Zurigo sperimentano terremoti, lunamoti e martemoti ricreandoli nel simulatore. Di John Clinton, Simon Stähler, Martin Van Driel e Maren Böse (in inglese):