Da quando è stata lanciata, la missione Gaia dell’Agenzia spaziale europea ha già prodotto due release dei dati. La prima, la data release 1 (Dr1), è un catalogo impressionante di stelle pubblicato nel 2016, dopo solo due anni dalla prima luce del satellite – quella della stella Sadalmelik, nota anche come Alpha Aquarii. La seconda release (Dr2) – contenente la luminosità, le posizioni, le distanze e i movimenti nel cielo di oltre un miliardo di stelle della nostra galassia, insieme a informazioni su altri corpi celesti – è invece stata rilasciata lo scorso anno. Una mole enorme di dati la cui analisi ha richiesto un grande lavoro di squadra. Lavoro che sta però portando a raccogliere i suoi frutti.
Combinando questi dati con quelli ottenuti da osservazioni complementari nell’infrarosso e nell’ottico, eseguite da telescopi da terra e dallo spazio (i cataloghi fotometrici di Pan-Starrs1, 2Masse AllWise), un team di astronomi del Leibniz-Institut für Astrophysik Potsdam (Aip) e dell’Universitat de Barcelona ha ricostruito per la prima volta, nello spazio a tre dimensioni, la barra centrale della Via Lattea. E questo a partire da misure dirette delle stelle che formano la grande struttura dalla caratteristica forma allungata che si trova al centro della nostra galassia.
«Sapevamo che sarebbe stato cruciale calcolare meglio le distanze delle stelle osservate da Gaia al fine di avere una migliore visione delle regioni interne della galassia», spiega Cristina Chiappini, una delle coautrici dello studio, già ricercatrice presso l’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Trieste e attualmente in forza all’Aip, in Germania. «Lì in quella zona le stelle non solo sono molto lontane, ma la loro luce è anche offuscata dall’abbondante polvere fra quelle regioni e noi. Per un volume piccolo e a noi vicino il metodo della parallasse di Gaia va benissimo – è molto preciso e può essere facilmente trasformato in distanze – ma per gli oggetti lontani e offuscati dalla polvere questo non funzionerebbe».
«Abbiamo quindi utilizzato altre informazioni disponibili», continua la ricercatrice, «ottenendo distanze precise, che hanno dimostrato ciò che in realtà ci si aspettava. Riuscirci con i soli dati di Gaia non sarebbe stato possibile. Benché sapessimo, da altri dati, dell’esistenza della barra, in questo studio ci siamo potuti avvalere di un grande numero di stelle. E molte di più se ne aggiungeranno quando potremo combinare i nostri dati con spettri come quelli della survey Apogee (una survey nel vicino infrarosso che può penetrare nelle polveri)».
Quanto al futuro prossimo, in vista delle terza release dei dati di Gaia, Chiappini ha già le idee ben chiare. «Nei prossimi giorni”, dice a Media Inaf, «inizieremo a ottenere spettri per un gran numero di stelle con il telescopio 4Most dell’Eso e, in particolare, con la survey 4Midable-Lr – di cui io sono il principal investigator insieme ad altri due colleghi, Ivan Minchev ed Else Starkenburg. Speriamo di ottenere spettri per oltre 10 milioni di stelle. Spettri che, combinati con quelli nel vicino infrarosso da Apogee e della Sloan Digital Sky Survey, porteranno a una visione più nitida della galassia in generale e delle regioni più interne in particolare».
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “Photo-astrometric distances, extinctions, and astrophysical parameters for Gaia DR2 stars brighter than G = 18“, di F. Anders, A. Khalatyan, C. Chiappini, A. B. Queiroz, B. X. Santiago, C. Jordi, L. Girardi, A. G. A. Brown, G. Matijevič, G. Monari, T. Cantat-Gaudin, M. Weiler, S. Khan, A. Miglio, I. Carrillo, M. Romero-Gómez, I. Minchev, R. S. de Jong, et al.
Guarda sul canale YouTube dell’Esa il video “Revealing the galactic bar”: