Il mese scorso la presidente dello House Committee on Science, Space, & Technology ha presentato la proposta di cambiare nome al Large Synoptic Survey telescope (Lsst), attualmente in costruzione sul Cerro Pachon in Cile, per farlo diventare il Vera Rubin Survey Telescope.
La proposta, poi approvata dalla Camera Usa, offre un’occasione per ricordare una grande astronoma che, oltre ad avere dato contributi fondamentali alla ricerca, è stata anche una straordinaria avvocata a favore dell’apertura della disciplina alle donne.
Nata e cresciuta in un’epoca dove negli Stati Uniti molte scuole e quasi tutte le università erano precluse alle donne, Vera ha studiato al Vassar College, allora riservato alle ragazze. Era affascinata dall’astronomia e avrebbe voluto continuare a Princeton, ma la sua candidatura non venne nemmeno presa in considerazione. Era il 1948 e Princeton non avrebbe accettato donne per altri 27 anni. Si iscrisse all’Università Cornell, dove studiava anche il marito, e ottenne il master e poi l’equivalente della nostra laurea studiando il moto di un centinaio di galassie il cui comportamento sembrava deviare dall’espansione di Hubble. Il risultato era controverso e la povera Vera, incinta, non lo potè presentare alla riunione annuale dell’American Astronomical Society. Non è chiaro se non le fu permesso di fare la presentazione perché si pensava che il risultato fosse sbagliato o perché era ritenuto indecoroso avere uno speaker incinta.
Era solo una delle difficoltà che Vera doveva affrontare tutti i giorni. Fece il dottorato alla Georgetown University continuando a studiare il moto e la disposizione delle galassie e dimostrando che non sono distribuite a caso nello spazio ma formano enormi strutture che oggi chiamiamo superammassi. Un altro risultato che non piaceva all’establishment. Era il 1954 e Vera, già mamma di David e Judith, iniziava la carriera nella ricerca.
Dopo 11 anni passati alla Georgetown University (e la nascita di Karl e Allan), nel 1965 Vera è approdata alla Carnagie Institution, dove avrebbe trascorso tutta la sua carriera. Sempre nel 1965, inviò la sua prima domanda di osservazione al telescopio di Monte Palomar, allora precluso alle donne perché non c’erano bagni adatti. È famosa la soluzione adottata da Vera, che ritagliò una figurina di donna stilizzata a la appiccicò sulla porta del bagno. La figurina non sopravvisse a lungo, ma il tabù era superato e Vera fu la prima astronoma a poter usare il telescopio di Monte Palomar. In verità, prima di lei c’era stata Margaret Burbidge, che però presentava domanda a nome del marito Geoffrey Burbidge, famoso astrofisico di stampo teorico. Tutti sapevano che non sarebbe stato lui a osservare, ma le apparenze erano salve.
Dopo avere passato anni a misurare il moto anomalo delle galassie e la loro distribuzione (ottenendo risultati che sarebbero stati accettati solo decenni dopo), Vera decise che era stanca di essere coinvolta in argomenti controversi e scelse di studiare la curva di rotazione delle galassie, un argomento che, a prima vista, sembrava tranquillo. Invece no!
Il moto delle stelle all’interno delle galassie era diverso da quello che ci si sarebbe potuto aspettare a partire dalle leggi di Keplero. Ogni stella si muove “rispondendo” alla massa contenuta all’interno della sua orbita. Man mano che ci si allontana dal centro le stelle dovrebbero rallentare, come succede per i pianeti del nostro sistema solare. Vera invece misurava curve di rotazione piatte, le stelle non rallentavano affatto. In altre parole, le stelle si muovevano troppo velocemente e avrebbero dovuto andarsene per i fatti loro non più trattenute dall’attrazione gravitazionale della loro galassia. Visto che invece le galassie avevano l’aria di essere stabili bisognava immaginare che contenessero molto più massa di quella visibile sotto forma di stelle, di gas e polvere. Una discrepanza che era già stata notata da Frank Zwicky per gli ammassi di galassie.
Vera divenne la mamma della materia oscura galattica. Uno dei risultati più straordinari dell’astrofisica del secolo scorso. Grazie ai suoi risultati adesso sappiamo che il 90 per cento della materia della nostra galassia (e di tutte le altre) non emette radiazione che possa essere misurata dai nostri strumenti. Non sappiamo da quali particelle sia formata questa massa così importante, così pervasiva e così oscura.
È quindi perfetto dedicare a lei il Large Synoptic Survey Telescope, che è stato progettato per studiare la materia oscura e l’ancora più misteriosa energia oscura che dominano il nostro universo.
Con un grande campo di vista che verrà fotografato con immagini da 3.2 gigapixel, il telescopio mapperà la distribuzione di miliardi di galassie, una valanga di dati che ci aiuteranno a capire meglio il lato oscuro del cosmo.
Il Vera Rubin Survey Telescope entrerà in funzione l’anno prossimo e sarà rivoluzionario, esattamente come Vera.
Articolo originariamente pubblicato su StartupItalia.eu, e qui ripreso con l’autorizzazione dell’autrice.
Per conoscere le caratteristiche del Vera Rubin Survey Telescope guarda questo servizio realizzato in precedenza da Media Inaf: