Che i pianeti extrasolari siano affascinanti non si discute. Fin dalla loro scoperta gli studiosi si sono posti innumerevoli quesiti circa l’origine di questi mondi così distanti da noi nello spazio e nel tempo. Come si sono formati? Di cosa sono composti? Ci sono acqua e ossigeno? Possono ospitare la vita? Tutte domande, queste, che costituiscono un minimo comun denominatore per la maggioranza degli studi sugli esopianeti.
Di tutti i pianeti extrasolari finora scoperti ce ne sono alcuni che sono più interessanti di altri. Sono i cosiddetti ‘gioviani caldi’, così chiamati perché, alla stessa stregua di Giove, sono giganti gassosi ma che, a differenza del gigante rosso, orbitano molto vicini alla loro stella. Talmente vicini che impiegano al massimo tre giorni per una rivoluzione completa attorno all’astro che può, in alcuni casi, far letteralmente evaporare l’atmosfera del pianeta. Inoltre, l’estrema vicinanza all’astro causa quella che viene comunemente chiamata ‘rotazione sincrona’: come la Luna, il pianeta mostra sempre la stessa faccia alla stella ospite e guarda sempre con lo stesso lato l’oscurità dello spazio.
Ricerche precedenti hanno dimostrato come possa venire rilevata la presenza di un flusso termico proveniente dal lato oscuro di questi esopianeti, segno che l’altissima temperatura del lato illuminato dalla stella debba venire in qualche modo trasferita a quello buio. Non sono ancora chiari i meccanismi di trasporto dell’energia da una faccia all’altra ma si ritiene che i gioviani caldi siano dotati di venti ad alta velocità che rimescolano il contenuto atmosferico e, quindi, il calore tra il lato notturno e quello diurno.
Ora un nuovo studio, pubblicato il 26 agosto scorso su Nature Astronomy, ha aggiunto un mattoncino ulteriore alla conoscenza dei gioviani caldi, inducendo plausibili ipotesi circa la composizione dell’atmosfera nel lato notturno. Utilizzando le osservazioni a lunghezze d’onda di 3.6 e 4.5 micrometri del telescopio spaziale Spitzer, i ricercatori della McGill University di Montreal, Canada, hanno analizzato i flussi di radiazione emessi dai lati oscuri di dodici gioviani caldi. A differenza dei lati diurni, le cui temperature variano fino a 1700 gradi tra i diversi pianeti analizzati, i lati notturni mostrano tutti la stessa temperatura: attorno agli 800 gradi.
«L’uniformità delle temperature del lato notturno suggerisce che le nuvole su questo lato dei pianeti siano simili tra loro per composizione», riferisce il dottorando Dylan Keating, primo autore dell’articolo. In generale la composizione delle nubi dipende dalla temperatura, dalla pressione e dai processi che governano la loro formazione. Una spiegazione relativamente semplice è che tutti i gioviani caldi abbiano la stessa specie di nubi nel lato notturno. Queste nuvole sono tali per cui gli strati superiori emettono radiazione termica a una temperatura leggermente più fredda rispetto agli strati inferiori, mentre la radiazione più calda proveniente da questi strati viene bloccata. Ciò richiede nuvole composte da una struttura granulare più grande rispetto alle normali nubi dei giganti gassosi.
«La nostra analisi suggerisce che queste nuvole sono probabilmente composte da minerali come solfuro di manganese o silicati: in altre parole, rocce», commenta Keating.
Poiché i processi fisici che governano la formazione delle nuvole sono universali, il loro studio sui lati oscuri dei gioviani caldi potrebbe fornire importanti contributi anche ad altre tipologie di pianeti nell’universo, inclusa la Terra. Infatti, sviluppi futuri dovranno tenere conto di processi quali feedback radiativo – ossia le modifiche al clima del pianeta in seguito agli scambi di energia tra la sua atmosfera e lo spazio esterno – e la microfisica che regola l’interno delle nuvole. Per i pianeti estremamente caldi dovranno anche essere tenuti in conto gli effetti dei campi magnetici generati dal pianeta stesso.
Sul lato osservativo, invece, per determinare la composizione delle nubi sono necessarie osservazioni per lunghezze d’onda maggiori di quelle utilizzate finora. I futuri telescopi spaziali come il James Webb Space Telescope della Nasa e la missione Ariel dell’Esa forniranno importanti contributi agli studi di questi straordinari esopianeti.
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo su Nature Astronomy “Uniformly hot nightside temperatures on short-period gas giants“, di Dylan Keating, Nicolas B. Cowan, Lisa Deng.