«Il mio preferito è Sandpiper», dice Maurizio Pajola, ricercatore all’Inaf di Padova. Pajola è uno degli scienziati coinvolti nella missione Osiris-Rex della Nasa, e il “Sandpiper” di cui parla è un cerchio dal raggio di 5 metri situato nell’emisfero sud dell’asteroide Bennu, un oggetto di circa 500 metri di diametro che nel momento in cui scriviamo si trova a oltre 235 milioni di km dalla Terra. Sandpiper è uno dei quattro siti – gli altri tre sono Kingfisher, Osprey e Nightingale – candidati a diventare il punto di approdo della sonda Osiris-Rex sull’asteroide. La manovra, in programma per l’estate del 2020, sarà in realtà un rapido touch-and go: cinque secondi, durante i quali il braccio della sonda Nasa raccoglierà campioni da portare poi sulla Terra per essere analizzati in laboratorio.
La selezione dei quattro siti è frutto di un processo lungo e delicato, con risvolti sia sul piano scientifico che su quello della sicurezza. Un processo nel quale sono stati coinvolti anche studenti e citizen scientists, invitati nella primavera scorsa a unirsi agli scienziati per un’impresa collettiva di mappatura dettagliata, roccia per roccia, dell’intera superficie dell’asteroide. Impresa nella quale Pajola, grazie all’esperienza maturata con la missione Esa Rosetta, ha un ruolo di primo piano: aiutare la Nasa a decidere, appunto, qual è il sito di campionamento scientificamente migliore e più sicuro dal punto di vista ingegneristico.
«Essendo stato in prima fila nell’identificazione del sito di Philae sulla cometa 67P, contando massi e acquisendo competenza a riguardo, ora ho la stessa mansione su Osiris-Rex», spiega lo scienziato a Media Inaf. «Qui però non solo conto massi, ma soprattutto supervisiono quelli che sono stati contati dagli studenti della University of Arizona, per confermare la loro correttezza o meno. Prima di scegliere i quattro siti finalisti ho dovuto anche integrare con i miei conteggi quelli fatti dagli studenti, aiutando proprio nella selezione finale dei quattro che ora sono stati scelti, e sui quali si sta ancora discutendo molto».
Terminata la mappatura a vista, nelle settimane scorse è toccato all’altimetro laser di bordo produrre – inviando 10mila impulsi al secondo, mentre la sonda orbitava a circa 700 metri dalla superficie di Bennu – una rappresentazione 3D dell’asteroide. Si tratta della mappa topografica a più alta risoluzione che mai sia stata realizzata di un oggetto planetario, con i quattro siti scandagliati in ogni dettaglio. E per quanto a un occhio profano possano sembrare assolutamente identici, in realtà presentano differenze cruciali per la buona riuscita della missione.
«Dal punto di vista ingegneristico e di sicurezza il mio sito preferito è Sandpiper», ribadisce Pajola, «in quanto è localizzato in un’area praticamente piatta sul bordo di un cratere largo 63 m, a una latitudine di 47° Sud. Proprio in questa regione sono presenti poi evidenze di minerali idrati, suggerendo che nel campione raccolto potrebbe trovarsi materiale pristino – o non modificato – proveniente dall’asteroide “padre” dal quale si è formato Bennu».
«Scientificamente, però, trovo molto interessante anche il sito Osprey», aggiunge lo scienziato, «localizzato nella regione equatoriale di Bennu a una latitudine di 11° Nord. Questo sito si trova infatti all’interno di un piccolo cratere di 20 metri di diametro, e i sassi e le pietre che qui si osservano hanno differenti colori e mineralogia. Ciò suggerisce che l’eventuale regolite qui raccolta sarebbe anch’essa molto variegata, non contenendo quindi solamente composti dell’asteroide padre di Bennu, ma potenzialmente anche di quei corpi che hanno impattato Bennu a seguito della sua formazione».
L’annuncio dell’esito della selezione dei due siti di campionamento – quello primario e quello di backup – avverrà a dicembre, mentre per la discesa e la raccolta dovremo attendere, appunto, la seconda metà del 2020. Se tutto andrà come da programma, l’arrivo dei campioni sulla Terra avverrà il 24 settembre 2023.
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