Il centro di controllo dell’agenzia spaziale indiana (Isro) ha perso i contatti con il lander Vikram rilasciato dalla sonda Chandrayaan-2 che è in orbita intorno alla Luna.
In linea di principio questo non significa che il lander si sia necessariamente schiantato, tuttavia l’espressione delusa del Primo Ministro Narendra Modi faceva capire in modo più che eloquente che il tentativo dell’India di diventare la quarta potenza spaziale ad allunare era finito male.
As important as the final result is the journey and the effort.
Our effort and journey to the moon was worth it.
There will be a new dawn and a brighter tomorrow soon! pic.twitter.com/VgK8WaABQg
— Narendra Modi (@narendramodi) September 7, 2019
È il secondo fallimento lunare che registriamo nell’anno del cinquantenario del primo allunaggio umano. Dopo essere iniziato alla grande con il trionfale allunaggio cinese sulla faccia nascosta della Luna, il 2019 si sta rivelando avaro di soddisfazioni per gli entusiasti del ritorno alla Luna, che sembra voglia ricordare a tutti che la manovra di allunaggio è tutt’altro che semplice.
Ad Aprile si è schiantata la sonda privata israeliana Beresheet ed ora è la volta di Vikram.
Sia per Israele che per l’India si trattava del primo tentativo di allunaggio, ma il fallimento indiano a me fa più impressione perché colpisce una missione organizzata da una importante agenzia spaziale mentre nel caso israeliano si trattava di una compagine privata che si muoveva in modo indipendente dalle agenzie spaziali.
Vikram sembra quindi essere entrata nel club dei detriti spaziali che popolano la superficie lunare.
Tuttavia, nella storia dello spazio, i fallimenti sono molto più comuni di quanto si voglia ricordare. Seguendo la storia delle missioni lunari, che ho raccontato nel mio libro Conquistati dalla Luna, si tocca con mano quanti tentativi falliti siano stati necessari per imparare tutti i trucchi necessari per allunare con successo.
Non dimentichiamo che i primi a realizzare un allunaggio morbido furono i sovietici nel 1966, 5 anni dopo la sfida lanciata dal Presidente Kennedy. Come evidente dalla bellissima infografica qui a fianco (realizzata da Carni Klirs, cliccare per ingrandire) il successo sovietico, seguito a breve distanza da quello americano, è venuto dopo almeno una dozzina di fallimenti che si erano equamente abbattuti sulle due superpotenze che si stavano sfidando nello spazio.
L’unica agenzia spaziale che è riuscita ad allunare al primo tentativo è stata la Cina, nel 2013, con la missione Chang’è 3.
Nel caso di Vikram, sappiamo che tutto andava come previsto fino a 2 km dalla superficie poi, prima del silenzio radio, sembra che la sonda andasse troppo forte e non seguisse la traiettoria prevista.
Forse l’analisi dei dati della telemetria (fino a quando ci sono state le trasmissioni radio) dirà cosa non ha funzionato. Nel caso di Bresheet sappiamo che sono stati i motori frenanti che non hanno funzionato secondo lo schema previsto. Di certo le missioni indiana e israeliana si vantavano di essere state realizzate in modo low cost, con un investimento di 150 milioni di dollari per Chandrayaan-2 e di circa 100 per Beresheet, decisamente inferiore a quello previsto da Nasa o Esa per missioni paragonabili.
Ovviamente risparmiare nello spazio significa prendere più rischi, come ha scoperto la Nasa quando ha tentato di mandare sonde a Marte seguendo un approccio denominato Faster, Better and Cheaper che ha dovuto essere abbandonato dopo una serie di imbarazzanti fallimenti.
Tuttavia l’India è decisa a riprovare.
Parlando agli scienziati ed agli ingegneri comprensibilmente delusi dal fallimento, Modi ha detto “We came very close, but we will need to cover more ground in the times to come” (Siamo arrivati molto vicini ma avremo bisogno di andare oltre nei prossimi tentativi). Come dargli torto?
Questo articolo è stato inizialmente pubblicato dalla stessa autrice, sabato 7 settembre 2019, su Blog Italia dell’Agenzia giornalistica italiana.