Le fasi principali della formazione di stelle e pianeti sono ben comprese: una densa nube interstellare di gas e polveri collassa sotto la sua stessa gravità; si forma un nucleo centrale e un disco protostellare in rotazione, dovuto alla conservazione del momento angolare; infine, dopo circa 100mila anni, la stella diventa abbastanza densa da accendere nel suo centro la fusione nucleare e inizia a brillare, mentre sul disco si formeranno i pianeti. Ma ci sono ancora molte domande aperte sui dettagli di questo processo, ad esempio qual è il ruolo del momento angolare nella formazione del disco o in che modo il disco circumstellare raccoglie la maggior parte della sua massa?
Un team internazionale di scienziati, tra cui anche l’italiana Paola Caselli, guidato dal Max Planck Institute for Extraterrestrial Physics (Mpe) ha recentemente osservato tre delle sorgenti protostellari più giovani nella nube molecolare di Perseo. Nel piano del cielo, le tre sorgenti sono viste di taglio e questo consente uno studio della distribuzione delle velocità nella nube.
«Questa è la prima volta che siamo stati in grado di analizzare la cinematica del gas attorno a tre dischi circumstellari nelle prime fasi della loro formazione», afferma Jaime Pineda, che ha guidato la ricerca presso Mpe. «Tutti i sistemi studiati si adattano allo stesso modello, che ci indica che le dense nubi non ruotano come un corpo rigido». Una rotazione di corpo rigido sarebbe la più semplice, descrivendo un gas in rotazione con la stessa velocità angolare a qualsiasi distanza dal centro della nube. Però il modello che meglio descrive tutti e tre i sistemi studiati si colloca tra la rotazione di corpo rigido e la pura turbolenza. Inoltre, confrontando queste osservazioni con precedenti modelli numerici, è chiaro che i campi magnetici svolgono un ruolo nella formazione di questi dischi: «L’inclusione di un campo magnetico assicura che il collasso non sia troppo veloce e la rotazione del gas corrisponda a quella osservata», spiega Pineda.
«Le nostre ultime osservazioni ci danno un limite massimo alle dimensioni del disco, che risulta essere in grande accordo con studi precedenti», continua Pineda. In particolare, il momento angolare specifico del materiale in caduta è direttamente correlato al raggio kepleriano massimo possibile del disco protostellare. Supponendo una massa stellare di circa il 5% della massa del nostro Sole, gli scienziati stimano che il limite superiore del disco di Keplero (definito come un disco di materiale che obbedisce alle leggi del moto di Keplero a causa dell’attrazione di un corpo massiccio nel suo centro) sia di circa 60 UA, circa il doppio della distanza di Nettuno dal Sole, in accordo con le stime precedenti. Ciò suggerisce che i grandi dischi (maggiori di 80 UA) non possono essersi formati all’inizio della vita di una stella, e quindi influenza il punto di partenza negli scenari di formazione dei pianeti.
Il prossimo passo per gli astronomi sarà osservare tali sistemi in varie fasi della loro evoluzione e in diversi ambienti, per verificare se questi influenzano il profilo del momento angolare specifico. Questi risultati possono poi essere integrati o confrontati con simulazioni numeriche per comprendere meglio la co-evoluzione del denso nucleo che forma una stella e del disco circumstellare che porta alla formazione dei pianeti.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “The Specific Angular Momentum Radial Profile in Dense Cores: Improved Initial Conditions for Disk Formation” di Jaime E. Pineda, Bo Zhao, Anika Schmiedeke, Dominique M. Segura-Cox, Paola Caselli, Philip C. Myers, John J. Tobin, Michael Dunham