Giuno è la missione della Nasa il cui obiettivo è quello di studiare in dettaglio Giove, il quinto pianeta del Sistema solare. Lanciata nel 2011, dopo un viaggio nello spazio profondo lungo cinque anni nel luglio del 2016 Juno è entrata in un’orbita di 53 giorni che percorre a una velocità dalla quale non si era mai discostata di molto.
Lo scorso primo ottobre, però, è stato necessario farlo. Il veicolo spaziale ha infatti eseguito con successo una manovra propulsiva durata quasi 11 ore – straordinariamente lunga per gli standard della missione – necessaria affinché per il prossimo flyby che ci regalerà, previsto per il 3 novembre prossimo, non sia anche l’ultimo. Senza questa manova, infatti, Juno si sarebbe trovata nel cono d’ombra d’una lunga eclissi di Sole – lunga al punto da poter risultare fatale per quello che è il primo veicolo alimentato a energia solare che si trovi a operare così lontano dal Sole. Dodici ore all’ombra di Giove: tanto sarebbe durata l’oscurità in assenza di un intervento. Un tempo che avrebbe comportato l’esaurimento della batteria, con il conseguente congelamento del veicolo e la probabile entrata in un sonno profondo dal quale non sarebbe stato più in grado di svegliarsi.
La manovra, iniziata alle 01:46 ora italiana e terminata intorno all’ora di pranzo dello stesso giorno, ha richiesto circa 73 kg di carburante e ha permesso di aumentare la velocità orbitale di Juno di 203 Km/h. Un burn – così si chiama in gergo una manovra orbitale – durato cinque volte più a lungo di qualsiasi altro effettuato nel corso della missione.
«Con il successo di questo burn», dice Scott Bolton, principal investigator di Juno al Southwest Research Institute di San Antonio, «siamo sulla buona strada per saltare l’ombra del 3 novembre. È stata una soluzione incredibilmente creativa a quella che sembrava una geometria fatale. Le eclissi non sono generalmente amiche di un veicolo spaziale a energia solare. Ora, invece di preoccuparmi del suo congelamento, non vedo l’ora di vedere la prossima scoperta scientifica che Giove ha in serbo per Juno»
«La pianificazione della missione pre-lancio non prevedeva una lunga eclissi che avrebbe fatto precipitare nell’oscurità il nostro veicolo spaziale ad energia solare», aggiunge Ed Hirst, project manager di Juno al Jet Propulsion Laboratory della Nasa a Pasadena, in California. «Il fatto che abbiamo potuto pianificare ed eseguire la manovra necessaria mentre operavamo nell’orbita di Giove è una testimonianza dell’ingegnosità e dell’abilità del nostro team, insieme alla straordinaria capacità e versatilità del veicolo spaziale».
«Con la manovra si è evitato l’altissimo rischio di perdere la sonda dietro il pianeta nel corso l’eclissi che avverrà durante il passaggio ravvicinato dell’orbita 23», conferma a Media Inaf Alberto Adriani dell’Inaf Iaps di Roma, responsabile scientifico dello spettrometro Jiram (Jovian InfraRed Auroral Mapper) a bordo di Juno, «Molto ancora ci si aspetta da Juno per il futuro. Si sta infatti già studiando una proposta per il prolungamento della missione dopo il 2021 che, attualmente, sarebbe il termine ufficiale». Quanto a Jiram, «funziona ancora egregiamente», dice il ricercatore, « senza alcun segno di deterioramento. Speriamo continui così fino alla fine della missione».