ALMA STUDIA LA NASCITA DELLE STELLE MASSICCE

ll passato violento della Grande Nube di Magellano

Osservazioni compiute con Alma nella regione attorno alla nebulosa Papillon nella Grande Nube di Magellano hanno mostrato, per la prima volta, la presenza di numerosi filamenti di gas molecolari e alcune protostelle massicce del tutto sconosciute. Molto probabilmente si tratta del risultato della collisione di nubi di gas, come conseguenza dell'interazione mareale fra la Grande e la Piccola Nube di Magellano avvenuta circa 200 milioni di anni fa

     19/11/2019

La nebulosa di Orione è una grande nube molecolare, posta a soli 1300 anni luce da noi, che prende il nome dalla costellazione in cui è visibile. Crediti: Nasa, Esa, M. Roberto (Space Telescope Science Institute/Esa) and Hubble Space Telescope Orion Treasury Project Team

Anche con un piccolo binocolo si possono osservare gli ammassi stellari aperti più vicini a noi, come quelli – magnifici – delle Pleiadi e delle Iadi, ben visibili durante il periodo invernale. Se si compie questa esperienza scrutando con attenzione, ci si renderà conto che le stelle brillanti sono rare, mentre quelle poco luminose sono la maggioranza. Questa è una “regola” che vale anche a livello galattico: la maggioranza delle stelle della Via Lattea sono piccole nane rosse poco luminose, mentre le stelle più brillanti e massicce, come Deneb o Antares, sono un’esigua minoranza. Questo significa che la nascita di una stella di grande massa è un evento raro. In generale, una qualsiasi protostella inizia a formarsi quando una porzione di nube molecolare, come la Grande Nebulosa di Orione, collassa su sé stessa per effetto della forza di gravità. Affinché si inneschi questo processo è necessario che, in qualche punto della nebula, si verifichi una fluttuazione in eccesso della densità media in modo tale che funga da centro di attrazione per il resto del gas.

Le fluttuazioni di densità all’interno di una nebulosa possono essere provocate da forti venti stellari di stelle massicce nelle vicinanze, dall’onda d’urto provocata dall’esplosione di una stella di grande massa (supernova) oppure da moti casuali del gas. Come si vede, le stelle massicce sono importanti perché, avendo un ciclo vitale breve e travagliato, possono innescare la formazione di migliaia di stelle di massa inferiore, ma non solo: sono anche le uniche in grado di sintetizzare gli elementi pesanti all’interno dei loro nuclei e disseminarli nello spazio, dove andranno a formare pianeti ed esseri viventi. Comprendere la formazione delle stelle massicce è un po’ come andare a caccia delle nostre origini. Il processo di formazione di queste stelle è uno dei problemi aperti dell’astrofisica moderna e gli astronomi scrutano con attenzione le nebulose per capire come ciò possa avvenire.

Per l’osservazione della nascita delle protostelle massive le zone di formazione stellare della Via Lattea non sono l’ideale, per via del materiale interstellare che – trovandosi sul piano galattico lungo la linea di vista – interferisce con le osservazioni. Per questo motivo si ricorre all’osservazione delle galassie esterne. Tuttavia, se le galassie sono troppo distanti è difficile ottenere una risoluzione spaziale abbastanza elevata tale da risolvere i dettagli più fini delle nubi molecolari. A questo proposito, la Grande Nube di Magellano (o Large Magellanic Cloud, Lmc) è una galassia privilegiata perché, essendo un satellite della Via Lattea, si trova a una distanza di soli 170.000 anni luce da noi. Questa galassia può essere osservata con grande dettaglio ed è addirittura ben visibile a occhio nudo se vi trovate sotto il cielo australe. Nella Lmc si possono isolare le associazioni stellari tra le nubi molecolari, le massicce stelle di tipo O e le regioni H II (dove l’idrogeno è ionizzato), senza problemi di visibilità.

La Grande Nube di Magellano immortalata da Vista. Crediti: Eso/Vmc Survey

Numerose survey hanno identificato nella LMC circa 300 nubi molecolari giganti (o Giant Molecular Cloud, Gmc) e hanno scoperto che la Gmc 159 è quella dove la formazione stellare è più attiva. All’interno di N159, osservazioni del 1998 fatte con il telescopio spaziale “Hubble” hanno permesso di identificare una intensa regione H II a forma di farfalla che è stata chiamata nebulosa Papillon. Si tratta di una regione di idrogeno ionizzato molto compatta, che sottende un arco di soli 2 secondi d’arco, pari a circa 2 anni luce nello spazio. Questa zona contiene al suo interno due protostelle di grande massa, di circa 21 e 41 masse solari, che ionizzano il gas circostante.

In un recente articolo accettato per la pubblicazione su ApJ, un team internazionale di ricercatori guidato da Yasuo Fukui (Università della prefettura di Osaka e Osservatorio astronomico nazionale del Giappone) ha esposto i risultati di osservazioni fatte con Alma nei dintorni di questa nebulosa. Alma (Atacama Large Millimeter /submillimeter Array) è un radiointerferometro composto da 66 antenne in grado di lavorare nella banda millimetrica e sub millimetrica dello spettro elettromagnetico: ideale per studiare in alta risoluzione le condizioni chimiche e fisiche che si hanno nelle Gmc. Con Alma, Fukui e colleghi hanno osservato l’intensità della radiazione emessa dalla molecola del CO (ossido di carbonio), di una regione della nebulosa N159, la N159E-Papillon (che contiene la nebulosa Papillon), tracciando l’intensità e la velocità dei gas per studiare la formazione delle stelle massicce.  L’osservazione è avvenuta con una risoluzione maggiore di un fattore tre rispetto a studi precedenti e questo ha permesso di identificare un gran numero di filamenti di gas all’interno della nebulosa – ben 50 – con uno spessore medio di soli 0,3 anni luce. Si tratta di filamenti simili a quelli che si trovano nelle regioni di formazione stellare della Galassia ma è la prima volta che vengono rivelati all’esterno della Via Lattea. La massa stimata dei filamenti è di circa 10.000 masse solari, ossia il 10-20 per cento di tutta la nube molecolare N159E.

Immagine della nebulosa N159E-Papillon nella Grande Nube di Magellano ripresa da Alma. La croce indica la posizione delle protostelle della nebulosa Papillon. Notare la intricata serie di filamenti di gas che compongono la nebulosa. Crediti: Fukui et al., ApJ, 2019

In queste osservazioni la nebulosa Papillon appare scura perché le molecole di CO vengono dissociate dalla radiazione emessa dalla protostelle al suo interno, ma lungo il perimetro sono visibili diverse strutture elongate, simili ai “pilastri della creazione” della nebulosa Aquila. I “pilastri” ai confini della Papillon sono diretti verso le protostelle che si trovano al suo centro ed è la prima volta che viene osservata una struttura simile in una galassia esterna. La cosa interessante è che lungo uno dei filamenti che si estende appena al di fuori della Papillon sono state identificate delle strutture rotondeggianti, identificate con le sigle Mms-1 e Mms-2. Si tratta di densi noduli di gas immersi nel filamento con una massa complessiva stimata di circa 200 masse solari. Si sospetta che si tratti di protostelle massicce, con un’età inferiore a 10mila anni. Essendo così giovani non hanno ancora fatto in tempo a ionizzare la nube molecolare. Le protostelle della Papillon sono più vecchie, l’età stimata è di circa 100mila anni, però si tratta comunque di tre sistemi proto-stellari massicci che si sono formati quasi contemporaneamente entro 3-6 anni luce di distanza. In precedenza si pensava che la formazione stellare nella Papillon fosse stata catalizzata dalla fusione di diversi filamenti molecolari, tuttavia questo scenario non è in grado di spiegare la presenza di tre regioni distinte dove è avvenuto – quasi contemporaneamente – il collasso gravitazionale di protostelle massive. In effetti è più probabile che la nube sia nata con la struttura a filamenti piuttosto che essersi formata dalla fusione di tutti i filamenti osservati.

Inoltre, la struttura a filamenti della N159E-Papillon è molto simile a quella della nube molecolare N159W-Sud, che si trova a circa 160 anni luce di distanza. Anche nella Gmc N159W-Sud è presente una struttura filamentosa e protostelle lungo i filamenti molecolari separate da 3-6 anni luce di distanza. E anche l’orientazione dei filamenti è simile, essendo paralleli gli uni agli altri. Tutto questo indica che l’attività di formazione stellare della GMC N159 non è localizzato alla sola Papillon ma è estesa su una regione di almeno 160 anni luce. Per spiegare l’origine della struttura filamentosa e la nascita delle protostelle su questa vasta regione è stata presa in considerazione la cinematica a grande scala delle nubi di gas della Lmc, ricorrendo ad uno studio del 2017 dello stesso Fukui.

I “pilastri della creazione” della nebulosa Papillon nella Gmc N159E della Lmc. Crediti: Fukui et al., ApJ, 2019

In questo quadro è stato suggerito che nella Lmc si sia innescato un processo di formazione stellare – su scala di alcune migliaia di anni luce – circa un milione di anni fa, in seguito a un flusso d’idrogeno neutro presente nella regione dell’ammasso stellare aperto R136 (che si trova nella nebulosa Tarantola) e della Gmc N159, provocato dall’interazione mareale fra la Grande e la Piccola nube di Magellano avvenuta 200 milioni di anni fa. In questo scenario il flusso d’idrogeno neutro fra le due galassie avrebbe compresso nubi preesistenti, provocato la formazione dei filamenti e il collasso delle protostelle. In effetti fra gli studi teorici, le simulazioni numeriche magnetoidrodinamiche hanno mostrato che, in seguito alle collisioni fra nubi molecolari, nello strato compresso che si crea nella zona di collisione si possono effettivamente formare filamenti massicci di gas, con stelle di grande massa al loro vertice.

Questo quadro spiega bene la morfologia filamentosa di N159E e N159W e perché entrambe mostrino filamenti irregolari, estesi verso nord, nonostante la grande separazione delle due regioni, che non permette una comunicazione su tempi scala dell’ordine del milione di anni. In base a questi risultati, la formazione delle stelle massicce è rara perché, affinché abbia luogo, è necessaria la collisione di due nubi molecolari. Un ulteriore passo avanti verso la comprensione della formazione di stelle di grande massa – e delle nostre origini – è stato fatto.

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