Il nome è la consueta anonima sigla: Cta 102. L’oggetto che identifica, invece, è decisamente fuori dal comune. «Si potrebbe pensare che sia un quasar come tanti altri», dice Filippo D’Ammando dell’Istituto di radioastronomia dell’Inaf, «ma se anche i Byrds gli hanno dedicato una canzone qualcosa di speciale Cta 102 lo deve pur avere». In effetti la band californiana, in uno strampalato brano del 1967 dal titolo “C.T.A. 102”, si rivolgeva a questo quasar – situato in direzione della costellazione di Pegaso, a circa 8 miliardi di anni luce da noi – come a una sorgente di segnali alieni.
Ora, che dietro ci siano o meno gli omini verdi, non c’è dubbio sul fatto che si tratti di un blazar da record. Per un certo lasso di tempo è stato il più brillante oggetto extragalattico persistente nel cielo, e del suo bizzarro comportamento già abbiamo parlato anche su Media Inaf, in occasione di un articolo – guidato da Claudia Raiteri dell’Inaf di Torino – pubblicato su Nature nel 2017. Proprio da quel lavoro prende le mosse lo studio di D’Ammando e colleghi, i cui risultati sono presentati sul numero di dicembre di Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Oggetto della nuova ricerca è la geometria dei getti del blazar, il cui modello è stato messo alla prova con cinque anni di osservazioni (dal 2013 al 2017) condotte con ogni sorta di telescopi. Riuscendo così a confermare – per la prima volta – che il modello messo a punto dagli astrofisici funziona fino alle altissime energie.
«Ci è costato parecchio tempo. Anzitutto abbiamo dovuto raccogliere informazioni da oltre 40 telescopi radio, infrarossi e ottici, nonché da satelliti X e gamma. Gran parte dei telescopi radio, infrarossi e ottici che abbiamo usato fanno parte del consorzio Webt (Whole Earth Blazar Telescope), presieduto da Massimo Villata dell’Inaf di Torino. Per Rem e Swift ho fatto richiesta di tempo osservativo dedicato», ricorda D’Ammando. «Per Fermi e Alma, invece, i dati sono pubblici, si trattava solo di rimboccarsi le maniche e analizzarli. Infine, abbiamo applicato il modello geometrico ipotizzato».
I risultati, in accordo con le più recenti simulazioni magnetoidrodinamiche, mostrano forti instabilità nel getto dei blazar, che assume una forma vagamente sinusoidale, un po’ come quella di un serpente. «Abbiamo ipotizzato che il getto del blazar variasse, cambiasse orientazione del tempo. Diverse parti del getto emettono a diverse frequenze, e noi vediamo aumentare l’intensità del segnale solo per alcune frequenze, perché solo alcune parti sono puntate verso di noi», spiega D’Ammando. Questa sua instabilità lo rende, in un certo senso, un oggetto dal comportamento mutevole: a volte blazar e a volte quasar, a seconda che la radiazione emessa sia o meno orientata esattamente verso di noi. «Se lo osservi a certe frequenze si comporta come un blazar, mentre ad altre frequenze non ti sembra di avere questo faro puntato in faccia».
Perché questa personalità multipla? Una tra le ipotesi è che nel cuore del blazar ci siano non uno bensì due buchi neri supermassicci. «Attualmente non c’è modo di verificarla, la strumentazione attuale non lo permette», dice D’Ammando. «Ma chissà: magari fra 15 anni riveleremo un’onda gravitazionale da fusione di buchi neri proveniente da quel blazar, e allora potremo dire che probabilmente sì, i buchi neri erano proprio due».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “Investigating the multiwavelength behaviour of the flat spectrum radio quasar CTA 102 during 2013-2017”, di F. D’Ammando, C. M. Raiteri, M. Villata et al.