Un team internazionale di astronomi guidato da Francesco Shankar dell’università di Southampton, in stretta collaborazione con Viola Allevato, della Scuola Normale Superiore di Pisa e dell’Inaf – Osservatorio di astrofisica e scienza dello spazio di Bologna, ha recentemente scoperto un nuovo modo di pesare le masse dei buchi neri supermassicci – oggetti cosmici presenti nel cuore della maggior parte, se non di tutte, le galassie, con una massa superiore di milioni di volte, e a volte miliardi, quella del Sole. Lo studio è stato pubblicato da Nature Astronomy.
Una delle proprietà più interessanti dei buchi neri supermassicci è che, pur essendo questi oggetti piccoli rispetto alle galassie che li contengono – come un chicco d’uva rispetto all’intera Terra – la loro massa varia in base alla galassia che li ospita: più grande è la galassia, più grande è il buco nero supermassiccio. Il che è sorprendente visto che non ci si aspetta che le dimensioni di un chicco d’uva siano influenzate da quelle del pianeta sul quale cresce.
Questo suggerisce un qualche legame profondo, una sorta di “co-evoluzione” tra buco nero supermassiccio e galassia che li contiene, che tuttavia rimane ancora sconosciuto.
Il nuovo metodo di misurazione di questi oggetti galattici proposto dal team di scienziati si è basato sullo studio della distribuzione spaziale delle galassie. La misurazione accurata delle masse di buchi neri supermassicci viene infatti solitamente ottenuta misurando la velocità delle stelle o del gas circostanti. Questo è incredibilmente impegnativo e richiede telescopi estremamente sensibili e osservazioni complesse.
L’approccio usato in questo lavoro è del tutto nuovo. Le galassie e i buchi neri supermassicci al loro centro risiedono in aloni di materia oscura. Simulazioni numeriche mostrano che la massa di questi aloni correla con la loro distribuzione spaziale: aloni di materia oscura più massivi sono caratterizzati da una distribuzione che si discosta maggiormente da una distribuzione random e sono quindi più raggruppati nello spazio. Questo significa che misurare quanto gli aloni di materia oscura siano raggruppati nell’universo può essere utilizzato per “pesare” gli aloni. Visto che ci aspettiamo che i buchi neri più massicci siano ospitati da aloni più massicci, allo stesso modo possiamo utilizzare questo metodo per “pesare” i buchi neri supermassicci misurando il loro – e delle galassie che li ospitano – raggruppamento nello spazio. Confrontando le simulazioni con dati recenti sulla distribuzione spaziale delle galassie, il team di scienziati ha mostrato che i buchi neri supermassicci hanno, in media, meno massa di quanto si pensasse in precedenza. Sono insomma un po’ meno “massicci” del previsto.
Questo risultato consente di fissare l’efficienza radiativa dei buchi neri supermassicci, cioè la loro efficienza di conversione di massa in energia, a valori del 10-20 per cento, percentuale che suggerisce buchi neri ruotanti su sé stessi con velocità da moderate ad alte. Il fatto che i buchi neri siano meno massicci di quanto si pensasse implica, inoltre, un segnale in onde gravitazionali prodotto durante la fusione tra buchi neri più debole e quindi più difficile da misurare per gli strumenti attualmente disponibili.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Constraining black hole–galaxy scaling relations and radiative efficiency from galaxy clustering“, di Francesco Shankar, Viola Allevato, Mariangela Bernardi, Christopher Marsden, Andrea Lapi, Nicola Menci, Philip J. Grylls, Mirko Krumpe, Lorenzo Zanisi, Federica Ricci, Fabio La Franca, Ranieri D. Baldi, Jorge Moreno e Ravi K. Sheth