La call risale al maggio scorso, quando l’Agenzia spaziale europea sollecitò candidature per formare una squadra cosiddetti interdisciplinary scientists per la missione BepiColombo – una sonda spaziale formata da due satelliti con destinazione Mercurio. Ora è arrivato l’annuncio del completamento della formazione: i sei scienziati sono stati individuati, e fra loro c’è anche una ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica, Anna Milillo.
Nata ad Ancona e laureata a Roma, appassionata di canto (fa parte del coro polifonico “Il Coriandolo” dell’Area di Tor Vergata), Milillo è oggi prima ricercatrice all’Inaf Iaps di Roma, dove si occupa di rivelatori di particelle neutre energetiche, di circolazione magnetosferica, di processi di generazione di esosfere e interazioni Sole-ambienti planetari – Terra, Marte, Luna, lune gioviane e, soprattutto, Mercurio.
Anzitutto un rapido aggiornamento sulla missione: avevamo lasciato BepiColombo circa un anno fa mentre era in volo verso Mercurio. Ora dove si trova? E quanto manca alla meta?
«BepiColombo, ancora in configurazione di cruise, cioè con le due navicelle impilate, è in orbita terrestre. Incontrerà la Terra per l’ultimo saluto ad aprile 2020, passando all’interno della magnetosfera a circa due raggi terrestri di altezza, dentro le fasce di radiazione, per ricevere la spinta necessaria per andare verso Venere. Dopo due passaggi, a ottobre 2020 e agosto 2021, incontrerà la prima volta Mercurio nell’ottobre 2021 e poi per altre cinque volte. Solo nel dicembre 2025 le due navicelle di BepiColombo si separeranno, per mettersi in orbita attorno al pianeta».
Mantenete comunque qualche forma di contatto con la sonda, in questa fase di trasferimento?
«In questo primo anno sono stati fatti i controlli dei vari strumenti. Solo pochi stanno regolarmente mandando dati scientifici, la maggior parte aspetta occasioni scientifiche particolarmente interessanti per accendersi, così da preservare, durante la lunga cruise, i rivelatori per la fase di missione nominale».
Nel frattempo, l’Esa ha messo insieme questo team di sei persone, come una squadra di pallavolo, del quale anche lei fa parte. Sei “scienziati interdisciplinari”. Che significa? Non siete tutti astrofisici?
«La figura di interdisciplinary scientist (Ids) è normalmente utilizzata nelle missioni spaziali più complesse. Infatti, i teams di strumento sono di solito esperti della sola scienza relativa alle specifiche osservazioni che li riguardano, e generalmente si occupano solo di questa. Gli Ids hanno come compito quello di connettere la scienza di diversi strumenti e ottimizzare, quindi, il ritorno scientifico della missione. I sei scienziati selezionati per BepiColombo sono esperti di diverse discipline e vengono da Usa, Giappone ed Europa. Nancy Chabot (Usa) è esperta in studio della superfice ed evoluzione planetaria. Bernard Charlier (Belgio) è un geologo, e si interesserà degli studi delle rocce di Mercurio. Shunichi Kamata (Giappone) è esperto in formazione del Sistema solare. Francois Leblanc (Francia) è esperto di esofera e osservazioni da Terra. Nicola Tosi (Germania), un italiano che ora lavora a Berlino, è esperto nella struttura interna dei pianeti. Poi ci sono io, esperta del complesso ambiente di Mercurio».
Come vi hanno scelti? E per quanto tempo resterete in carica?
«Una commissione internazionale nominata dall’Esa ci ha selezionato tra numerose domande, valutando il curriculum, il nostro progetto di attività e l’esperienza nella tematica proposta. Le proposte potevano essere supportate da un team. In effetti anche io ho avuto lettere di supporto da diversi scienziati di grande valore, sia dei team di strumenti di BepiColombo, sia di Messenger – la missione Nasa che ha orbitato intorno Mercurio tra il 2011 e il 2015. Saremo in carica sicuramente per tre anni, ma, se non insorgono problemi specifici, continueremo per tutta la missione».
Durante questo periodo, sarete gli unici al mondo che possono accedere, in qualunque momento, a tutti i dati di tutti gli strumenti. Perché solo voi? Per quale motivo c’è questo livello di riservatezza, e i dati non sono subito accessibili a chiunque?
«La missione prevede sei mesi di proprietary period dei team di strumento, prima di diventare pubblici. Il motivo di questo periodo proprietario duplice: anzitutto, prima di essere divulgati, i dati devono essere validati dal team che conosce lo strumento; inoltre, i team che hanno lavorato su di esso devono avere l’occasione di pubblicare i risultati più evidenti e inaspettati. Noi Ids possiamo accedere a tutti i dati appena arrivano e abbiamo il pieno appoggio dei principal investigators e di tutti i team di strumento. Il nostro compito è massimizzare la scienza che si può ottenere e, sicuramente, questa cosa è considerata un’opportunità dai team. Anche per questo sono molto orgogliosa di essere stata selezionata: perché testimonia l’apprezzamento non solo della commissione ma anche di tutto il team BepiColombo, col quale già interagisco da anni come coordinatrice del gruppo che si occupa dell’ambiente di Mercurio e delle sue interazioni con il Sole e il mezzo interplanetario. Ovviamente i dati saranno accessibili a noi soli, e non possiamo coinvolgere persone esterne al team di BepiColombo».
E se mai si scoprisse che andate a spifferare in giro, anzitempo, informazioni riservate?
«Non so se siano previste espressamente sanzioni in caso di “fuga di notizie”, ma è chiaro che non sarebbe una bella figura internazionale».
Come le piacerebbe sfruttare questa sua posizione “privilegiata”?
«Come ho detto, sono coordinatrice del working group che si occupa dell’ambiente di Mercurio. Infatti, già da tempo Esa e Jaxa hanno pensato di istituire dei gruppi di lavoro su specifiche tematiche scientifiche da discutere insieme: riguardano l’interno del pianeta, la superficie e l’ambiente. Il gruppo che io coordino è particolarmente attivo, vivace e collaborativo. La filosofia che condividiamo è di grande apertura scientifica e coinvolgimento di una comunità il più allargata possibile. In questo modo, si promuove lo scambio di idee sulla complessa scienza che riguarda l’ambiente esosferico, magnetosferico, le sue interazioni con la superficie da una parte e il vento solare, la radiazione solare e i micrometeoriti dall’altra. Il coordinamento in questo caso è particolarmente importante, perché le condizioni estreme di Mercurio, insieme al debole campo magnetico interno e l’assenza di un’atmosfera densa, rendono tutto il sistema strettamente connesso, e fanno sì che ci sia una dinamica molto più veloce di quella terrestre (la riconfigurazione totale della magnetosfera avviene in tempi scala di minuti, mentre per la Terra è di diverse ore). Inoltre, la scienza dell’ambiente è, come si dice, event driven, cioè poco prevedibile: va osservato il più possibile per riuscire a catturare l’evento particolare, per esempio un’eruzione solare che arriva a Mercurio. Quindi avere due navicelle spaziali che osservino in modo ottimale lo stesso fenomeno da due punti diversi è fondamentale per capire le cause e gli effetti».
Oltre a questo nuovo incarico di “scienziata interdisciplinare”, lei è impegnata anche su qualche strumento in particolare?
«Sì, sono anche deputy principal investigator del package di rivelatori di particelle Serena (il principal investigator è Stefano Orsini) a bordo del Mercury Planetary Orbiter. Questo esperimento ha un ruolo particolarmente importante nelle osservazioni coordinate, perché da lui si otterrà la risposta del pianeta alle sollecitazioni esterne, che saranno, invece, osservate a maggior distanza dal satellite giapponese Mio».
C’è qualche risultato scientifico che potrebbe diventare a breve alla vostra portata?
«La missione non è stata pensata per fare scienza durante la cruise, sia per il fatto che i due satelliti sono impilati – e, quindi, molti strumenti sono chiusi in mezzo a essi – sia perché l’assetto di alcuni strumenti durante la cruise non è ottimale. Comunque, si cercherà di ottenere osservazioni scientifiche nei limiti del possibile anche durante questa fase. Ci saranno occasioni di interessanti osservazioni scientifiche durante i passaggi a Venere e Mercurio. Inoltre, i prossimi anni saranno ricchi di missioni operanti nelle zone interne del Sistema solare: Solar Orbiter sarà lanciato il prossimo febbraio, ma anche, ad esempio, Proba 3 e Parker Solar Probe, che è già diretto verso il Sole. In effetti, abbiamo già iniziato a confrontarci, sia in ambito Esa che in ambito nazionale, unendo i team coinvolti in queste varie missioni per identificare le configurazioni più interessanti per studiare, ad esempio, la propagazione di eventi solari, in modo da prevedere l’accensione degli strumenti in modo coordinato».