I principi dell’inclusione e della parità di trattamento – senza differenze di genere, razza, orientamento sessuale e quant’altro – sono valori morali ormai ampiamente riconosciuti, anche giuridicamente. Che si tratti anche di valori che favoriscono un aumento della produttività e il miglioramento del benessere dei dipendenti è inoltre un fenomeno che sta recentemente emergendo, soprattutto in campo aziendale. Recenti studi mostrano che i risultati migliori in termini di innovazione, produttività e problem solving si hanno quando la presenza femminile si assesta tra il 40 e il 60 per cento.
Ma la strada che porta a una reale inclusione e alla parità di trattamento nei fatti è ancora abbastanza lunga – e richiede una profonda trasformazione culturale, che necessita di tempo, consapevolezza e determinazione. E di azioni positive mirate ed efficaci.
In un articolo pubblicato a inizio dicembre su Nature Astronomy, Lisa Kewley, direttrice di Astro3D (Arc Center of Excellence in All Sky Astrophysics), ha messo in evidenza come incoraggiare non solo la parità di genere ma anche l’inclusione di astronomi appartenenti a categorie “svantaggiate” (indigeni, disabili, Lgbtq) possa addirittura aumentare la possibilità di scoperte scientifiche significative.
«Gli studi dimostrano che, laddove è presente una maggiore diversità in tutti i livelli gerarchici, le istituzioni e organizzazioni sono più innovative, produttive e competitive», dice Kewley. «La diversità porta a considerare nuovi punti di vista, a una maggiore produzione di idee che possono portare a nuovi esperimenti o a nuovi prodotti. Garantire opportunità di ricerca non solo per le donne ma anche per gli astronomi disabili, o appartenenti a minoranze etniche e Lgbtq è dunque essenziale se non si vuole rimanere indietro, se si vuole che la ricerca abbia successo nella nuova era dei “mega-telescopi” quali Ska ed Elt».
Nel suo studio su Nature Astronomy, Kewley analizza in particolare la situazione in Australia, dove i recenti programmi per migliorare la parità di genere e l’inclusione delle minoranze pare stiano facendo progressi sorprendenti. L’obiettivo è ancora lontano: su 500 astronomi che lavorano in Australia, il 27 per cento sono donne con dottorato di ricerca, e ancora meno quelle che occupano posizioni di vertice gestionale. Tuttavia «c’è stato un drastico cambiamento nella cultura dell’astronomia australiana», osserva Kewley, notando come molti dipartimenti di astronomia stiano iniziando a spostare l’attenzione non solo sulla partecipazione femminile ma anche verso il reclutamento attivo di scienziati indigeni, Lgbtq, disabili e malati cronici.
Per avvalorare questa affermazione, viene citata un’iniziativa, chiamata Pleiades Awards, gestita dall’Astronomical Society of Australia (Asa): si tratta di un sistema di attribuzione di valutazioni – bronzo, argento e oro – alle varie istituzioni in base alla partecipazione delle donne a tutti i livelli gerarchici. L’obiettivo per gli istituti, ovviamente, è quello di salire di livello e meritarsi il bollino dorato. Istituito nel 2014, il sistema dei Pleiades Awards si è diffuso notevolmente, nonostante gli istituti non siano tenuti a sottoporsi a tale valutazione e non ci siano incentivi economici alla partecipazione.
Cathryn Trott, ricercatrice senior dell’International Center for Radio Astronomy Research (Icrar) con sede presso la Curtin University nell’Australia occidentale e attuale capo dell’Asa, concorda sul fatto che in questo campo l’astronomia australiana stia facendo passi da gigante. «L’Australia è leader mondiale nel tracciare, promuovere e premiare i progressi nell’uguaglianza di genere in astronomia, grazie a una serie di iniziative sostenute e celebrate in tutta la comunità», dice Trott. «E i Pleiades Awards sono stati un efficace catalizzatore di cambiamento di mentalità, che porterà a una discussione aperta sull’uguaglianza di genere, finora tenuta nascosta nei corridoi accademici».
E in Italia? La ricerca astrofisica italiana è pronta a un reale parità di trattamento di genere e a una effettiva politica inclusiva? Nonostante le dieci raccomandazioni finali del documento “Indicazioni per azioni positive sui temi di genere nell’Università e nella Ricerca” del Miur, siamo ancora lontani da una reale e concreta parità. «In Inaf persiste una progressiva sotto-rappresentazione del genere femminile alla progressione del ruolo in carriera», afferma ad esempio Angela Iovino, presidentessa del Cug Inaf. «Laddove ai livelli dell’arruolamento iniziale, ossia i livelli III, la percentuale di presenza femminile si attesta intorno al 37 per cento, quando si sale a livelli di carriera più alti si trova solo un 22 per cento di presenza femminile, nonostante un discreto numero di donne alla direzione di osservatori, istituti e unità tematiche. Si tratta di una progressiva divaricazione della percentuale di rappresentanza femminile la cui chiusura è difficile da vedere».
Cosa dire? Tutti noi conosciamo quanto sia importante in astrofisica includere le informazioni che provengono da tutto lo spettro elettromagnetico, nella sua ampiezza e varietà. Una politica parimenti inclusiva nei confronti delle diversità presenti nella nostra società non può che essere altrettanto vantaggiosa.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Diversity and inclusion in Australian astronomy”, di
Lisa J. Kewley - Leggi sul sito Inaf la “Relazione sull’attività svolta dal CUG INAF nel 2018”