A 815 anni luce da noi, intorno alla pulsar Geminga, c’è un debole e diffuso alone di raggi gamma che potrebbe risolvere un enigma lungo più di 10 anni. È quanto emerge da un nuovo studio che si basa sui dati registrati dal telescopio satellitare per raggi gamma Fermi, pubblicato lo scorso 17 dicembre su Physical Review D, e frutto di una collaborazione tra ricercatori del Goddard Space Flight Center della Nasa, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e dell’Università di Torino.
L’enigma riguarda un tipo di particelle sorprendentemente abbondanti vicino alla Terra: i positroni, cioè gli antielettroni. Questo eccesso di positroni è stato osservato negli ultimi 10 anni da vari esperimenti nello spazio, quali Pamela, lo stesso Fermi e Ams-02 che si trova a bordo della Stazione spaziale internazionale. Sulla sua origine sono state fatte numerose ipotesi, dall’emissione da parte di pulsar all’annichilazione o decadimento di particelle di materia oscura galattica.
«Dai risultati del nuovo studio emerge che Geminga da sola potrebbe giustificare fino al 20 per cento dei positroni osservati», dice Mattia Di Mauro, ricercatore al Goddard Space Flight Center della Nasa e alla Catholic University of America, autore dello studio insieme alle ricercatrici dell’Infn e dell’Università di Torino Silvia Manconi e Fiorenza Donato. «Se si considerano tutte le pulsar della nostra galassia, queste sorgenti sembrano essere le principali responsabili dell’eccesso di positroni osservato intorno alla Terra a energie superiori alle decine di GeV».
Le pulsar sono stelle di neutroni che ruotano molto velocemente emettendo radiazione elettromagnetica in onde radio, luce visibile, raggi X e gamma. Sono un po’ come un faro: la loro luce entra ed esce regolarmente dal nostro campo visivo. Geminga, scoperta nel 1972 dal satellite della Nasa Small Astronomy Satellite, è una pulsar tra le più brillanti alle energie dei raggi gamma. È caratterizzata da un intensissimo campo magnetico e può produrre numerose coppie di elettroni e positroni a velocità prossime a quelle della luce.
«Nella magnetosfera di una stella di neutroni avviene una specie di effetto a valanga. Il fortissimo campo magnetico strappa particelle alla superficie della stella e il campo elettrico indotto dalla rapidissima rotazione le accelera lungo le linee di forza del campo magnetico. Per radiazione di curvatura vengono prodotti raggi gamma di alta energia che non sopravvivono a lungo e si materializzano in una coppia elettrone-positrone. Particelle che ripetono il processo fino a quando i raggi gamma vengono prodotti abbastanza lontano (dove il campo magnetico è meno intenso) e riescono a sfuggire. Quindi Geminga è sicuramente una sorgente di elettroni e positroni – lo avevamo dimostrato già nel 2003 e nel 2004 in due lavori basati su dati Xmm», ricorda a Media Inaf l’astrofisica Patrizia Caraveo, alla quale abbiamo chiesto un commento alla scoperta in quanto membro del team del telescopio spaziale Fermi ed esperta di pulsar (in particolare, proprio di Geminga). «A seconda della carica, le particelle hanno due scelte: o diffondono verso l’esterno, dando origine alle code, oppure seguono le linee di forza verso l’interno, scaldando il polar cap e innescando così l’emissione in raggi X».
«Le pulsar vicine sono dunque da sempre state considerate come possibili sorgenti dell’eccesso di positroni: sono la soluzione “standard”, rispetto a quella “esotica” della materia oscura. Il vero problema», osserva la scienziata, «è la diffusione: il fatto che i positroni arrivino o meno a noi dipende infatti dal coefficiente di diffusione adottato, e alcuni autori ritengono sia assolutamente improbabile. L’alone è debole, come è giusto che sia, ed è soverchiato dall’emissione pulsata», osserva Caraveo. «Scovarlo è molto difficile: implica una paziente lavoro di ripulitura dei dati (anche perché la sorgente è vicina al piano galattico) e dal modello di emissione interstellare gamma diffusa».
«Nel nostro studio, abbiamo analizzato i dati provenienti da 10 anni di osservazione del telescopio Lat di Fermi sopra gli 8 GeV, confrontandoli con il nostro modello di produzione di raggi gamma da urti di elettroni e positroni con i fotoni. Questo ci ha permesso non solo di scoprire un alone esteso di raggi gamma intorno a Geminga, ma anche di determinarne le caratteristiche fisiche», spiega Silvia Manconi, ricercatrice dell’Infn e dell’Università di Torino che ora lavora alla Rwth Aachen University.
«La rivelazione di questo alone di raggi gamma intorno a Geminga nei dati di Fermi è in accordo con un’osservazione del 2017 dell’High-Altitude Water Cherenkov Gamma-ray Observatory (Hawc), osservatorio che si trova vicino Puebla, in Messico, e ci ha permesso di stimare il flusso di positroni da una singola pulsar con una precisone mai raggiunta precedentemente», conclude Fiorenza Donato, ricercatrice Infn e professoressa all’Università di Torino. «Le osservazioni dall’esperimento Fermi hanno permesso inoltre di confermare per la prima volta che, a conseguenza del moto proprio della pulsar, il bagliore di raggi gamma attorno a Geminga non è simmetrico attorno alla stella».
Fonte: sito web Infn
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review D l’articolo “Detection of a γ-ray halo around Geminga with the Fermi-LAT data and implications for the positron flux”, di Mattia Di Mauro, Silvia Manconi e Fiorenza Donato
Guarda il servizio video sul canale YouTube del Gsfc della Nasa: