Comet Interceptor è una missione nata dalla collaborazione tra l’agenzia spaziale europea (Esa) e quella giapponese (Jaxa) che si pone come obiettivo lo studio di una cometa dinamicamente nuova, un corpo che non sia mai passato nel Sistema solare interno. Non sappiamo quando un corpo con queste caratteristiche attraverserà il Sistema solare in una zona raggiungibile dalla sonda: dopo il lancio la sonda sarà perciò posizionata nel punto lagrangiano L2, a un milione e mezzo di km dalla Terra, dove attenderà pazientemente il passaggio di un corpo con le giuste caratteristiche.
Il lancio è ancora lontano: avverrà nel 2028, insieme a quello del cacciatore di esopianeti Ariel, ma proprio in questo periodo, dopo l’approvazione ufficiale dell’Esa dello scorso giugno, si sta rifinendo la configurazione della missione e della strumentazione scientifica che si troverà a bordo. Comet Interceptor si compone di tre moduli, due europei (A e B2) e uno giapponese (B1), sui quali si trovano diversi strumenti scientifici: tra questi, due vedono la collaborazione dell’Istituto nazionale di astrofisica.
Vincenzo Della Corte, primo tecnologo all’Istituto di astrofisica e planetologia spaziali dell’Inaf di Roma, è il co-principal investigator dello strumento Dfp (Dust, Field, and Plasma), costituito da più sensori – montati sia sul modulo A che sul B2 – dedicati allo studio della chioma della cometa; in particolare, è il responsabile del sensore Disc (Dust Impact Sensor and Counter), dedicato all’ambiente di polvere della cometa.
Prima di tutto un aggiornamento sulla missione: a che punto sono i preparativi?
«Dopo l’approvazione da parte dell’Esa a giugno 2019, è partita un’attività tecnica da parte degli esperti di Estec, il centro tecnologico olandese dell’Esa, con lo scopo di approvare il progetto della missione, tenendo conto di tutti i vincoli tecnici, di tempo e di risorse. Lo studio si sta concludendo in questi giorni e il risultato darà il via parte realizzativa della missione, con il consolidamento del disegno delle tre sonde e dei loro strumenti».
Perché bisognerà aspettare fino al 2028?
«La data di lancio di Comet Interceptor deve essere la stessa di Ariel, perché si tratta di una missione di classe F (fast) aggiuntiva, ideata per ottimizzare il carico all’interno del lanciatore. Per i tempi di sviluppo di missioni spaziali il 2028 non è una data remota, anzi: è estremamente vicina. Vista la caratteristica di “lancio in coppia”, Comet Interceptor non dovrà assolutamente rallentare Ariel, e dovrà quindi avere tempi di sviluppo serrati e rigidi: la consegna delle tre sonde (A, B1 e B2) e degli strumenti dovrà avvenire entro il 2025».
In che modo Comet Interceptor sceglierà il suo bersaglio?
«La scoperta e la scelta dell’oggetto che Comet Interceptor visiterà sarà effettuata grazie a una serie di campagne di osservazione con telescopi da Terra. Questa è una parte rilevantissima della missione, e grazie anche a osservatori all’avanguardia, come Lsst (Large Synoptic Survey Telescope), che sarà operativo dal 2023, il numero delle scoperte di possibili bersagli per Comet Interceptor aumenterà. In questo modo sarà garantito il successo di una missione che, per la prima volta nella storia, sarà lanciata senza avere un obiettivo già definito».
I tre moduli partiranno già separati oppure si separeranno una volta avvistata la cometa?
«Il progetto prevede che i tre moduli rimangano uniti fino a quando saranno in prossimità della cometa. Solo una volta raggiunto il bersaglio si separeranno e proseguiranno su tre traiettorie diverse. Questa è una parte cruciale della missione, un primato nella storia dell’esplorazione cometaria. Le tre sonde ospiteranno a bordo strumenti dedicati a effettuare misure simili da tre diversi punti della chioma, fornendo la possibilità di compiere ricostruzioni 3D di alcuni parametri che la caratterizzano. Si tratta di un tipo di misure nuove rispetto a quanto fatto dai flyby (il sorvolo veloce del corpo) delle precedenti missioni cometarie. Lo studio della componente di polvere della chioma e dell’ambiente di plasma beneficerà in modo particolare di questo approccio innovativo».
E se non dovesse passare alcuna cometa dinamicamente nuova?
«In fase di proposta di missione sono stati individuati degli obiettivi alternativi nel caso dovesse esaurirsi il tempo di “attesa” in L2 senza che sia scoperto una cometa dinamicamente nuova, o un corpo di origine interstellare raggiungibile con i vincoli della missione. La comunità scientifica che supporta la missione con osservazioni da Terra effettuerà, nei prossimi anni, delle campagne osservative dedicate alla ricerca di tali alternative».
Che cosa studierà Dfp, lo strumento del quale lei è co-principal investigator?
«Dfp è l’acronimo di Dust Field and Plasma ed è la suite di strumenti dedicati allo studio della polvere, del campo magnetico, del campo elettrico e del plasma presenti nella chioma cometaria e alle loro mutue interazioni. Dfp è composto da un’unità centrale che gestisce 5 diversi strumenti: Disc (Dust Impact Sensor and Counter), di cui sono responsabile, dedicato alla caratterizzazione della polvere; Compliment (Cometary Plasma Light Instrument), in grado di misurare le caratteristiche del plasma e del campo elettrico; Fgm (Flux Gate Magnetometer), un sensore per la misura del campo magnetico; Sciena (Solar wind and Cometary Ions and Energetic Neutral Atoms), in grado di misurare particelle sia cariche che neutre di origine sia solare che cometaria; e infine Lees (Low-Energy Electron Spectrometer), in grado di misurare la densità di elettroni del plasma nella chioma».
Chi lo costruirà?
«Il consorzio di istituti europei coinvolti nella realizzazione dello strumento è vasto: i contributi hardware saranno forniti dall’Italia (Inaf e Università degli Studi di Napoli “Parthenope”), Polonia, Repubblica Ceca, Svezia, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Austria e Germania».
Lei è il “co-principal investigator”, dicevamo – figura che potremmo tradurre come “corresponsabile”. In che cosa consistono i suoi compiti?
«Certamente è una soddisfazione avere questo ruolo, e lo considero un riconoscimento oltre che la continuazione dell’esperienza che ho avuto nell’ambito della missione Rosetta, in veste di co-pi dello strumento Giada a cui Disc è ispirato. La mia responsabilità sarà quella di fornire due modelli di Disc che saranno montati sul modulo A e sul B2, garantendo che le prestazioni siano in grado di fornire misure adeguate al raggiungimento degli scopi scientifici della missione. Sarà interessante lavorare per una missione la cui gestione, per quanto riguarda l’organizzazione del team scientifico e la politica di condivisione dei dati, avrà un approccio diverso rispetto allo standard delle missioni di esplorazione planetaria dell’Esa. Si tratta di un modello più vicino alle missioni Nasa, in cui il team scientifico sarà unico e i dati acquisiti dai vari strumenti a bordo dei tre satelliti saranno condivisi all’interno di tutto il team. In questa configurazione di missione, per chi fornisce strumenti la responsabilità è maggiore, ma sarà di grande aiuto il team che coordino, composto per la maggior parte da persone che hanno fatto parte del team di Rosetta, la cui esperienza è garanzia per il raggiungimento degli obiettivi di Comet Interceptor».
It's great to announce that @DrBrianMay is joining our mission's science team! ESA Study Scientist for Comet Interceptor @mggtTaylor welcomes Brian on board… pic.twitter.com/DPvHqvkaRx
— CometInterceptor (@CometIntercept) November 26, 2019