Durante gli ultimi due decenni, grazie all’aumentata disponibilità di immagini ad alta risoluzione, sono state identificate decine di possibili depositi fluviali di tipo deltizio probabilmente depositatisi in antichi laghi marziani. Questo tipo di depositi sedimentari sono considerati tra le evidenze principali per sostenere l’idea che anticamente Marte abbia avuto condizioni climatiche favorevoli per la presenza di acqua liquida sul pianeta. Difatti, le ultime missioni robotiche verso il Pianeta rosso sono state inviate a investigare siti occupati da possibili depositi lacustri per le implicazioni astrobiologiche derivanti dalla possibilità che questi siti possano essere stati occupati da acqua per un tempo significativo e sufficiente da poter registrare eventuali evidenze di segnature biologiche all’interno dei sedimenti.
Tuttavia, non è ancora ben definita la quantità di tempo necessaria per formare i delta marziani. Alcune stime propendono per tempi di formazione nell’ordine dei giorni o anni, altre indicazioni sembrerebbero suggerire intervalli nell’ordine dei millenni, o anche qualche milione di anni. Tali incertezze impediscono di stabilire in maniera univoca se i depositi deltizi marziani siano univocamente il risultato di attività idrologica stabile e duratura in un clima pseudoterrestre, o se questi possano essere il prodotto di attività idrologica effimera e transiente generata da meccanismi locali – quali ad esempio attività vulcanica, tettonica, impatto di meteoriti o comete – che potrebbero aver fuso del ghiaccio sotterraneo generando dei flussi di acqua senza necessariamente richiedere condizioni climatiche clementi.
Uno studio guidato da David Vaz dell’Università di Coimbra, in Portogallo, e da Gaetano Di Achille dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), pubblicato su Earth and Planetary Science Letters, apporta ora nuovi elementi al dibattito riguardo alle implicazioni climatiche, idrogeologiche e astrobiologiche dei delta fluviali di Marte. Il lavoro, concepito e realizzato principalmente presso l’Inaf d’Abruzzo, ha preso in considerazione tutti i possibili delta fluviali attualmente noti su Marte (vedi immagine in apertura), effettuando un bilancio volumetrico quantitativo tra i sedimenti erosi nelle valli fluviali e quelli depositati nei possibili delta tramite la topografia ad alta risoluzione ricavata da modelli digitali del terreno. Tale bilancio è stato utilizzato come indicatore per decifrare i meccanismi sedimentari prevalenti durante la formazione dei depositi deltizi. Infatti, sulla Terra grosse quantità di sedimenti (in alcune condizioni sino al 70 per cento del totale del carico sedimentario sospeso nel corso d’acqua) trasportati dai fiumi verso un bacino idrico (lago o mare/oceano) possono essere spinti al di là della foce fluviale e del delta e dispersi più al largo. Quindi, se durante la formazione dei delta marziani i bacini riceventi i sedimenti fossero stati occupati stabilmente da acqua, il volume dei sedimenti misurato nei delta dovrebbe essere minore rispetto a quello eroso nelle valli.
I risultati dello studio, invece, hanno evidenziato che il 70 per cento dei depositi analizzati presenta un rapporto tra volume delle valli e volume dei delta vicino all’unità. Questo implica che, per la maggior parte dei delta fluviali marziani, non c’è stata dispersione dei sedimenti oltre la foce, e che quindi il bacino che riceveva i flussi di acqua e sedimenti non era stabilmente riempito di acqua in cui i sedimenti potevano in parte dispersi in sospensione. Tali risultati, quindi, suggeriscono che la maggior parte dei possibili delta marziani potrebbero essersi formati principalmente da flussi di acqua e sedimenti depositatisi principalmente in condizioni subaeree e non necessariamente in condizioni climatiche favorevoli alla presenza stabile di acqua liquida.
Queste osservazioni sollevano dubbi sulla considerazione dei possibili delta marziani come siti ideali per missioni robotiche a fini astrobiologici, suggerendo che molti dei possibili laghi precedentemente ipotizzati andrebbero rianalizzati con cura per escludere l’occorrenza di meccanismi locali che abbiano generato attività idrologica effimera non necessariamente sostenuta da un clima favorevole alla presenza stabile di acqua liquida. Infine, questi risultati sono compatibili con recenti studi di revisione dell’evoluzione climatica di Marte che suggeriscono che il clima su Marte possa essere stato più variabile e transiente di quanto ritenuto in precedenza, o che ambienti lacustri si possano essere formati da processi che hanno consentito una limitata – sia nello spazio che nel tempo – attività idrologica anche in condizioni aride fredde.
Per saperne di più:
- Leggi su Earth and Planetary Science Letters l’articolo “Martian fan deposits: Insights on depositional processes and origin from mass balance survey”, di David A.Vaz, Gaetano Di Achille, Brian M. Hynek, William Nelson e Rebecca M.E.Williams