Caldo, molto caldo, e pure caldissimo. Tre facce dello stesso gas che avvolge come un gigantesco, tenue bozzolo, la nostra galassia, la Via Lattea. Tre distinte componenti, dicevamo, che sono state individuate, non senza sorpresa, da un team internazionale di ricercatori, tra cui Fabrizio Nicastro, dell’Inaf di Roma e del Centro di astrofisica Harvard-Smithsonian, grazie alle osservazioni del telescopio spaziale per raggi X Xmm-Newton dell’Esa. La sorpresa nasce dal fatto che secondo le teorie correnti il gas interstellare dell’alone galattico dovrebbe avere una temperatura uniformemente distribuita e legata alla massa della galassia che avvolge. Le nuove accurate osservazioni di Xmm-Newton hanno invece permesso di riconoscere componenti di questo gas a tre differenti temperature e, cosa ancora più sorprendente, il valore più alto tra le tre è di ben dieci volte maggiore del limite finora ipotizzato per la Via Lattea, raggiungendo la cifra record di dieci milioni di gradi. Una nuova, intrigante sfida per gli scienziati che sviluppano modelli teorici legati alle proprietà degli aloni galattici e, più in generale, sull’evoluzione delle galassie stesse: gli aloni sono infatti estese regioni di gas, stelle e materia oscura che circondano le galassie e sono il confine ultimo che le separa dallo spazio intergalattico.
«Abbiamo sempre ritenuto che le temperature del gas negli aloni galattici andassero da circa 10 mila a un milione di gradi, ma è emerso che parte del gas nell’alone della Via Lattea può raggiungere l’eccezionale valore di 10 milioni di gradi», ribadisce Sanskriti Das, giovane ricercatrice della Ohio State University negli Stati Uniti, primo autore dell’articolo che riporta la scoperta. «Secondo le attuali teorie, il gas si riscalda a circa un milione di gradi durante le fasi di formazione di una galassia come la nostra. Sorprende quindi rilevare temperature di questo gas fino a dieci volte maggiori di questa. Forse responsabili di questo ulteriore riscaldamento potrebbero essere i venti emessi dalla moltitudine di stelle che compongono il disco all’interno della Via Lattea».
Lo studio ha utilizzato una combinazione di due strumenti a bordo di Xmm-Newton: il Reflection Grating Spectrometer (Rgs) e la European Photon Imaging Camera (Epic). Epic è stata usata per studiare la luce emessa dall’alone e Rgs per studiare come l’alone influenza e assorbe la luce che lo attraversa.
Per sondare l’alone della Via Lattea, il team di Das ha osservato un blazar, ovvero il nucleo molto attivo di una galassia lontana che emette intensi fasci di luce e radiazione di alta energia, utilizzandola come fonte naturale di raggi X che, attraversando l’alone di gas della nostra galassia, ha permesso a Xmm-Newton di farne una sorta di “radiografia”, ottenendo preziose informazioni sulla sua distribuzione, densità e, soprattutto, temperatura. Questa tecnica è già stata utilizzata per questo tipo di studi. “Il risultato ottenuto è stato però raggiunto grazie alla scelta – azzeccata – di prolungare in modo decisivo le osservazioni, impegnando il telescopio spaziale per ben tre settimane e riuscendo così a svelare dettagli troppo deboli per essere rivelati sulle tipiche scale delle precedenti sessioni di puntamento, che di solito non superano i due giorni» commenta Nicastro, che ha proposto e coordinato la strategia osservativa.
In attesa dei risultati provenienti dalla elaborazione dei dati, gli scienziati si aspettavano che l’alone contenesse elementi chimici con rapporti simili a quelli visti nella composizione del nostro Sole. Tuttavia, Das e colleghi hanno notato una minore abbondanza di ferro nell’alone galattico rispetto a quanto previsto. Indizio questo che l’alone è stato arricchito da materiale emesso da stelle massicce giunte alla fine del loro ciclo evolutivo. L’ulteriore risultato di una scarsa presenza di ossigeno nella composizione del gas dell’alone può essere imputata al fatto che questo elemento viene assorbito da particelle polverose nell’alone.
Il componente del gas caldo appena scoperto ha anche implicazioni più ampie che influenzano la nostra comprensione generale del cosmo. La nostra galassia contiene molta meno massa di quanto ci aspettiamo: questo è noto come il “problema della materia mancante”, in quanto ciò che osserviamo non coincide con le previsioni teoriche. Dalla sua mappatura a lungo termine del cosmo, la sonda spaziale Planck dell’Esa ha stabilito che solo il 5% della massa nell’universo è costituita di da materia “normale” – il tipo che compone stelle, galassie, pianeti e così via. «Tuttavia, quando sommiamo tutto ciò che vediamo, il risultato copre appena la metà di questo 5%» ricorda Nicastro. «Allora, dov’è il resto? Alcuni suggeriscono che potrebbe nascondersi negli aloni estesi e massicci che circondano le galassie, rendendo la nostra scoperta davvero eccitante e promettente».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Discovery of a very hot phase of the Milky Way circumgalactic medium with non-solar abundance ratios” di S. Das, S. Mathur, F. Nicastro e Y. Krongold
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Multiple temperature components of the hot circumgalactic medium of the Milky Way” di S. Das, S. Mathur, A, Gupta, F. Nicastro e Y. Krongold