Quanto deve lavorare, una galassia, prima di collocarsi a riposo? Fino a poco tempo fa, sulla base dei modelli di formazione in contesto cosmologico, non ci si aspettava l’esistenza in numero significativo di galassie massicce, evolute e che avessero già terminato di formare stelle in epoche antiche – epoche antecedenti a ciò che gli astronomi definiscono “redshift z>3”, dove più grande è il valore ‘z’ e del redshift, più distanti e vecchie sono le galassie. Le galassie massicce – ovvero contenenti oltre cento miliardi di stelle – e non più attive – o quiescenti – erano infatti note fino a redshift z~2, che equivale a osservare l’universo quando aveva circa tre miliardi di anni, rispetto ai quasi 14 miliardi di anni dell’universo attuale.
La galassia quiescente più antica a oggi conosciuta ha redshift z=4.01, corrispondente a un’epoca in cui l’universo aveva appena 1.5 miliardi di anni. Uno studio ora in uscita su The Astrophysical Journal, guidato da Francesco Valentino del Niels Bohr Institute danese, prende in esame tre galassie di quell’epoca, tutte a z~4. Si tratta di uno dei pochi studi recenti che confermano la natura passiva e l’elevata massa stellare di queste galassie ad alto redshift. Galassie cosiddette quiescenti.
«Stiamo parlando di galassie che non stanno più formando stelle, oppure le stanno formando a un tasso molto ridotto rispetto a galassie simili e rispetto a quello che ha fatto in passato», speiga a Media Inaf una fra coautrici dell’articolo, Anna Gallazzi, dell’Inaf di Arcetri. «Questo avviene o per mancanza di “carburante” – l’idrogeno – o per le diverse condizioni fisiche del carburante, che non è più in grado di innescare il processo di formazione stellare. Capire cosa succede e quale meccanismo sia responsabile dell’esaurimento o espulsione del carburante o della riduzione di efficienza è una delle grandi domande che riguardano l’evoluzione delle galassie».
Le tre galassie oggetto dello studio sono state selezionate come candidate ad alto redshift e quiescenti sulla base dei loro colori. Per ottenere spettri in grado di determinarne la distanza sono stati mobilitati due strumenti: lo spettrografo infrarosso Mosfire, installato su uno dei telescopi Keck, alle Hawaii, e X-Shooter montato su Kueyen, uno dei quattro telescopi europei del Very Large Telescope in Cile. Ottenere spettroscopia di qualità per oggetti così distanti – e quindi deboli – è particolarmente difficile, ma è essenziale per arrivare a una misura precisa del redshift, per confermare o meno l’assenza di formazione stellare e per caratterizzare le popolazioni stellari in essi presenti e la storia di formazione stellare passata.
«Con questi spettri abbiamo potuto confermare che le galassie che studiavamo sono effettivamente quiescenti, con tassi di formazione stellare più di dieci volte inferiori rispetto a galassie di simile massa a questi redshift», conclude Gallazzi. «Abbiamo stimato che abbiano avuto un intenso – migliaia di masse solari all’anno – e breve –poche decine di milioni di anni – stadio di formazione stellare avvenuto qualche centinaio di milioni di anni prima».
Questi risultati permetteranno di calcolare in modo più attendibile la frequenza di galassie massicce e quiescenti nell’universo giovane e confrontarla con le previsioni dei modelli cosmologici di formazione delle galassie.
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo “Quiescent galaxies 1.5 billion years after the Big Bang and their progenitors” di Francesco Valentino, Masayuki Tanaka, Iary Davidzon, Sune Toft, Carlos Gomez-Guijarro, Mikkel Stockmann, Masato Onodera, Gabriel Brammer, Daniel Ceverino, Andreas L. Faisst, Anna Gallazzi, Christopher C. Hayward, Olivier Ilbert, Mariko Kubo, Georgios E. Magdis, Jonatan Selsing, Rhythm Shimakawa, Martin Sparre, Charles Steinhardt, Kiyoto Yabe e Johannes Zabl