Trentesimo e ultimo volume della collana “Viaggio nell’universo – Scoperte e segreti dell’astrofisica” di Rcs MediaGroup (curata da Andrea Ferrara della Scuola Normale Superiore di Pisa e presentata da Piero Angela), è in edicola in questi giorni con il Corriere della Sera il libro Stelle di neutroni: un’opera firmata dall’astrofisico, scrittore e artista Angelo Adamo. Lo abbiamo intervistato.
Dici stella di neutroni e subito tutti pensano al cucchiaino di materia che pesa quanto l’intera umanità. Ecco, partiamo da questa materia densa, dagli ingredienti di queste stelle: sono proprio palle fatte interamente di neutroni, come dice il nome?
«No di certo! Diciamo che di sicuro i neutroni sono i loro componenti più diffusi: tra la superficie solida e il nucleo, costituito probabilmente da una miscela alquanto esotica di strane particelle (pioni? kaoni? quark?), le stelle di neutroni potrebbero celare un vero e proprio mare superfluido e superconduttore di elettroni liberi e, soprattutto, neutroni. Questi ultimi vengono generati dall’avvicinamento estremo di elettroni e protoni – come è noto, i primi sono particelle con carica negativa mentre i secondi hanno carica positiva – che, prima contenuti nel nucleo della stella poi esplosa, ora sono costretti a unirsi tra loro dall’ulteriore, intensissima “strizzatura” che ha compresso quel nucleo stellare fino a farlo diventare una densissima stella di neutroni. Insomma, costretti a compenetrarsi per mancanza di spazio, elettroni e protoni neutralizzano – anzi, per usare un termine più specifico, neutronizzano – le loro rispettive cariche generando qualcosa che non è né positivo, né negativo. È neutro, appunto».
Misteriose, affascinanti, ma pur sempre eterne seconde, le Buzz Aldrin dell’astrofisica, condannate a restare all’ombra dei buchi neri. Come mai se le è prese in carico? Le sono toccate in sorte o è stata una scelta?
«Parliamoci chiaro: tutto sono tranne che un esperto di stelle di neutroni. In passato avevo già collaborato con Studio Dispari, l’agenzia milanese che si presa su di sé il compito di realizzare l’opera per il Corriere della Sera, per la realizzazione di un’altra opera di astronomia che, meno fortunata di “Viaggio nell’Universo”, non andò mai oltre il quarto volume (il mio libro doveva essere il quinto…). Questo precedente rapporto ha fatto sì che loro abbiano parlato di me ad Andrea Ferrara, curatore dell’intera opera giunta oggi a conclusione con il mio volume, presentandomi come “loro autore”. Nel frattempo è probabile che nessuno degli altri astronomi da lui contattati si sia detto disponibile per realizzare il volume sulle stelle di neutroni e così mi sono ritrovato, mio malgrado, coinvolto nel progetto».
Come l’ha presa?
«Ovvio che la cosa mi ha inizialmente preoccupato. Una preoccupazione che ho manifestato al curatore, al quale ho confessato con molta sincerità di non essere uno specialista del tema assegnatomi. Con la grande apertura mentale che lo contraddistingue, Andrea mi ha detto che non riteneva affatto si trattasse di un problema e che, anzi, il mio non essere un esperto poteva essere considerata proprio la carta vincente. Da astronomo e divulgatore, ho così deciso di accettare l’incarico: da astronomo, studiando in modo adeguato l’argomento, avrei non solo potuto, ma anche dovuto essere assolutamente in grado di parlare di un qualsiasi tema di astrofisica, almeno a un livello divulgativo! Ho allora deciso di considerare questo lavoro come una splendida opportunità di approfondire un tema che altrimenti avrei affrontato chissà quando, ampliando così il numero di temi che conosco e dei quali so parlare».
Ne è uscito un volume che lei non ha solo scritto, ma anche illustrato. Che soggetti sono, le stelle di neutroni, per chi le deve disegnare? Uno pensa a tutte queste sfere perfette, uniformi, identiche l’una all’altra, e immagina che ci sia poco spazio per l’immaginazione…
«Le stelle di neutroni, lisce all’esterno – la gravità sulla loro superficie esterna è così intensa da non ammettere deviazioni benché minime dalla figura sferica – potrebbero sembrare quanto di più distante esista da un oggetto capace di ispirare qualcosa di artistico. In realtà, la loro intensissima interazione con l’ambiente nel quale vivono incide così tanto sul “paesaggio cosmico” da rendere esse stesse delle “artiste involontarie”: grazie a loro, la Natura crea e disfa forme incredibili, usando come inchiostro il gas rimasto dall’esplosione di supernova che le ha generate e come matita il loro intensissimo campo magnetico. Questo rende non solo difficile, ma di sicuro interessante la sfida di riprodurre simili oggetti astrofisici con matita, china e pennelli. C’è poi da dire che non le vediamo certo con la definizione che servirebbe per ritrarle con esattezza: le enormi distanze che ci separano anche da quelle più vicine a noi, nonché la loro dimensione minima – il loro diametro è confrontabile con le dimensioni di una grande città – fanno sì che la loro rappresentazione visuale passi ancora da una interpretazione visiva dei dati numerici rilevati con i nostri telescopi».
Non dev’essere facile, occorrono competenze molto interdisciplinari…
«A tal proposito, ho avuto modo di scrivere un piccolo saggio – poi pubblicato come appendice nel libro La pazza scienza (di Luca Perri e, in misura minore, anche mio) – dal titolo “Quando divulgare vuol dire fare una bella figura”. Lì parlo proprio dei rapporti tra scienza e rappresentazione grafica, mostrando come in molti casi creare una illustrazione possa assumere il significato di “creare una simulazione”. Nel caso del libro oggetto di questa recensione, poi, tutti noi autori ci siamo trovati da subito di fronte al problema di capire come fare per trovare immagini da usare gratuitamente, delle quali quindi potevamo disporre grazie ad accordi pregressi tra la casa editrice e i fornitori di quei contenuti grafici. In questo clima non certo di terrore, ma di sicuro non così rilassante, a un certo punto mi sono accorto che avrei anche potuto disegnare da me alcune parti».
La soluzione perfetta.
«Purtroppo l’idea mi è venuta un po’ in ritardo rispetto alla consegna del testo, complice il fatto di aver nel frattempo finito altri lavori, ritrovandomi così più libero di complicarmi la vita. Questo ritardo mi ha fatto ridimensionare il mio entusiasmo: avrei sì pouto realizzare le illustrazioni, ma mi sarei dovuto limitare quasi del tutto a fare, in bianco e nero, i ritratti dei tantissimi personaggi, scienziati, scrittori, giornalisti, sociologi, letterati, musicisti… le vicende personali dei quali – alcuni fanno parte dell’Inaf: non dirò di chi si tratta, nella speranza di stimolare la curiosità dei nostri colleghi – hanno intersecato la grande storia della scoperta delle stelle di neutroni. Così facendo, ho rinunciato quasi del tutto al progetto di dedicarmi anche alla resa dei bellissimi paesaggi cosmici in cui le stelle di neutroni nascono, prosperano, rubano materia ad altre stelle o collidono».
Come le due che abbiamo visto fondersi nell’agosto del 2017?
»Sì, e quando lo fanno abbiamo motivo di credere che generino gli elementi chimici più pesanti, emettendo al contempo le onde gravitazionali che, una volta rilevate, hanno di fatto dato vita a un nuovo modo – che definirei “multimediale” – di fare astrofisica. Un modo che ci consente di studiare un fenomeno celeste particolarmente intenso tramite non solo la ricezione della classica emissione di radiazione elettromagnetica, ma anche grazie alla cattura di raggi cosmici e onde gravitazionali prodotte durante l’evento. Così stando le cose, mi sono dovuto rassegnare all’idea di affidare la presenza nel libro di questa tipologia di immagini ad altri illustratori, i cui lavori sono a disposizione e prelevabili liberamente dalle gallerie online segnalateci da Studio Dispari. Spero però di avere presto l’opportunità e il tempo di confezionare un’altra pubblicazione per la quale realizzare anche questo genere di illustrazioni, che trovo molto stimolanti da realizzare».
Non solo scienza e illustrazioni, però. Un capitolo del libro è dedicato alle stelle di neutroni nella cultura – letteratura, cinema, musica… Senza anticipare troppo il piacere della lettura, può darcene un assaggio, un esempio?
«Certo! Un ottimo esempio di un incontro felice tra diverse sfere culturali credo proprio possa essere la storia della nascita e dell’affermarsi del nome ‘pulsar’. Nato all’esterno del mondo scientifico, ha vinto la gara imponendosi, non solo fra gli esperti, ma anche nel cosiddetto “villaggio globale”. Divenendo così un suono da connettere a un’idea a tratti precisa, a volte – anzi, spesso – nebulosa, ma che di sicuro suggerisce a chi lo pronuncia e chi lo ascolta la sua appartenenza agli aspetti più estremi, strani, peculiari della materia astrofisica. Così tanto estremi, strani e peculiari da essere stato poi tradotto in un brano musicale suonato con strumenti del tutto nuovi per l’epoca in cui veniva composto, nel titolo di film e romanzi di fantascienza e in chissà quante altre opere che al momento mi sfuggono. Insomma, si tratta di un termine specifico, tecnico, preciso, partorito da un giornalista e divenuto poi termine vago, ma non troppo, che per vari scopi tanti usano: amanti della musica, amanti del cinema, della letteratura, delle metafore – non solo amanti della scienza».