Rosetta, la sonda dell’Agenzia spaziale europea lanciata per studiare la cometa 67/P durante il suo viaggio nel Sistema solare interno, ha permesso per la prima volta di osservare l’evoluzione di una cometa durante la sua fase attiva nelle vicinanze del Sole. La lunga durata della missione, da agosto 2014 a settembre 2016, ha consentito quindi allo spettrometro infrarosso Virtis – realizzato sotto la responsabilità scientifica dell’Istituto di astrofisica e planetologia spaziali dell’Inaf (principal investigator Fabrizio Capaccioni) dalla Leonardo di Campi Bisenzio (Firenze) con il contributo dell’Agenzia spaziale italiana – di seguire l’evoluzione delle proprietà del nucleo e della chioma della 67/P.
Percorrendo la sua orbita ellittica la cometa si è trovata in avvicinamento al Sole all’inizio della missione Rosetta, fino ad attraversare una linea immaginaria nota come “linea del ghiaccio” posta a una distanza di circa tre volte quella Terra-Sole. Qualsiasi cosa all’interno della linea del ghiaccio viene riscaldata in modo sufficiente da trasformare il ghiaccio di acqua in vapore, innescando il processo di sublimazione.
Sempre di più le comete stanno attirando l’interesse dei ricercatori, e questo anche grazie a Rosetta e i suoi risultati. «Il fatto che la sonda Rosetta abbia seguito la cometa 67/P durante il suo avvicinamento al Sole», commenta Eleonora Ammannito, ricercatrice delle scienze planetarie dell’Asi, «ha permesso di fare misure estremamente innovative, e l’interpretazione dei dati ottenuti sta chiarendo i fenomeni che avvengono nel nucleo della cometa in diversi punti della sua orbita. La nuova pubblicazione suggerisce la possibilità di un ciclo evolutivo per il ghiaccio di acqua presente nel nucleo della 67/p legato alla distanza Sole-cometa, ipotesi che potrebbe avere delle forti implicazioni nello studio dei meccanismi che permettono alle comete di trasportare materiale da una zona ad un’altra del Sistema solare».
Mentre Rosetta seguiva la 67/P attraverso la linea del ghiaccio, Virtis ha iniziato a registrare il cambiamento di colore che avveniva sulla superficie del nucleo della cometa e nella chioma intorno ad essa. Avvicinandosi al Sole, il riscaldamento è andato aumentando e il ghiaccio d’acqua presente al di sotto dello strato di polvere sul nucleo ha iniziato a sublimare, spingendo via anche granelli di polvere della superficie. Questo processo ha progressivamente esposto strati primordiali ricchi di ghiaccio incontaminato, che hanno fatto diventare agli occhi di Virtis il nucleo della cometa di colore più blu.
Nella chioma intorno al nucleo della cometa, la situazione rilevata ha invece mostrato un’evoluzione inversa: quando la cometa era lontana dal Sole la chioma era composta prevalentemente da particelle di ghiaccio d’acqua e quindi appariva di colore blu. Avvicinandosi al perielio, ovvero alla minima distanza dal Sole, l’attività cometaria ha raggiunto il suo massimo, espellendo via via sempre più polvere e rendendo la chioma più luminosa.
Ma il maggior flusso solare ha anche sublimato il ghiaccio residuo nei granelli di polvere della chioma rendendoli disidratati e di colore rosso. Simulazioni condotte sulle proprietà di deflessione della luce visibile dai grani nella chioma hanno dimostrato che questi sono composti prevalentemente da particelle di ghiaccio d’acqua inferiori a 100 micron attorno alla linea del ghiaccio e da grani inferiori al micron composti di carbonio e materiale organico al perielio.
Una volta che la cometa ha ripreso la sua via verso il Sistema solare esterno, Virtis ha rilevato che il colore cominciava di nuovo a variare, ma all’inverso, il nucleo è diventato più rosso e la chioma più blu.
Per seguire l’evoluzione della cometa, il team di Virtis ha analizzato oltre quattromila osservazioni – l’intero dataset acquisito dallo strumento – distribuite nell’arco dei due anni della missione Rosetta.
«Per rispondere alla grande domanda su come funziona una cometa è molto importante avere una lunga serie temporale di dati come questa», dice Gianrico Filacchione dell’Inaf di Roma, primo autore dello studio pubblicato oggi su Nature. Il motivo è che le comete sono ambienti estremamente dinamici. «Avere una così grande quantità di misurazioni ci ha permesso di tracciare i cambiamenti che avvengono su scale temporali diverse e di seguire il ciclo stagionale che si sviluppa su una cometa durante la sua fase attiva. La correlazione tra ciò che accade sul nucleo e nella polvere della chioma è qualcosa di completamente nuovo, un lavoro che non può essere fatto dalla Terra».
Questo perché osservando dal nostro pianeta la risoluzione delle immagini del nucleo di una cometa non sarebbe sufficiente: nel caso specifico, quello della 67/P è grande solo tre chilometri. Ora che siamo riusciti a descrivere e comprendere l’evoluzione a lungo termine della cometa, la lettura dei dati forniti da Virtis può essere contestualizzata con i risultati ottenuti dagli altri strumenti a bordo di Rosetta, come la scoperta sulla cometa di molecole organiche di vario tipo, considerate fondamentali per la vita sulla Terra.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “An orbital water-ice cycle on comet 67P from colour changes”, di Gianrico Filacchione, Fabrizio Capaccioni, Mauro Ciarniello, Andrea Raponi, Giovanna Rinaldi, Maria Cristina De Sanctis, Dominique Bockelèe-Morvan, Stèphane Erard, Gabriele Arnold, Vito Mennella, Michelangelo Formisano, Andrea Longobardo e Stefano Mottola