«Quella che viene definita come la rivoluzione degli SmallSat e dei CubeSat è frutto di una concomitanza di molte cose», dice Christopher Baker, program executive per le tecnologie dei piccoli satelliti allo Space Technology Mission Directorate della Nasa. «Un ruolo lo ha giocato la disponibilità di componenti commerciali: componenti pronti per l’uso con un’incredibile potenza di calcolo, molto piccoli e dai consumi modesti». Non solo. I cubesat consentono un accesso allo spazio frequente, flessibile e a basso costo, e l’intervallo che trascorre tra l’ideazione e il lancio di questi piccoli veicoli spaziali è estremamente ridotto. Permettono dunque di fare cose che con un grande veicolo spaziale monolitico non sarebbero possibili, osserva Baker. Ecco allora che alla Nasa hanno pensato di avvalersene come precursori per il programma Artemis, quello con il quale l’agenzia ha intenzione di riportare esseri umani sulla Luna entro il 2024. Passiamo dunque in rassegna alcuni di questi progetti pathfinder.
Uno si chiama Lunar Flashlight, e prevede di impiegare un cubesat 6U (composto da sei unità, per un totale di 12x24x36 cm) come se fosse una sorta di rabdomante: il suo compito sarà infatti quello di localizzare depositi di ghiaccio nelle cosiddette cold trap lunari – crateri con regioni perennemente in ombra. L’idea della Nasa è quella di poter eventualmente sfruttare questi depositi come sorgenti d’acqua potabile “a km zero”, nonché come materia prima per il rifornimento dei razzi. Per identificarli con rapidità, Lunar Flashlight trasporterà un ricevitore e quattro raggi laser in grado di emettere impulsi in sequenza.
Un secondo precursore è Capstone, altro cubesat economico e di piccole dimensioni (circa quanto un forno a microonde) al quale toccherà invece solcare in anteprima la particolare orbita cislunare nella quale la Nasa intende mettere il Lunar Gateway – la stazione spaziale del programma Artemis. Si tratta di una cosiddetta near rectilinear halo orbit (orbita halo quasi rettilinea), con distanza minima e massima dalla superficie della Luna di – rispettivamente – 1660 km e 70mila km.
«La dinamica di quell’orbita è stata modellata qui sulla terra, ma nessun veicolo spaziale vi è mai stato collocato. Vogliamo misurare quanta energia occorre per entrarci e rimanerci», spiega Baker. «Basta poca energia per entrare in un’orbita halo quasi rettilinea. Ma questo significa anche che ne basta poca per uscirne. Allora come si fa, a mantenerla? Capstone ci dovrà dire quanto propellente è necessario per riuscirci».
Non solo: a Capstone sarà demandato anche il compito di scambiare incessantemente dati con il Lunar Reconnaissance Orbiter per determinare l’esatta distanza fra i due satelliti. In questo caso, l’obiettivo è dimostrare la funzionalità di un software di navigazione spacecraft-to-spacecraft che potrebbe consentire alle future missioni di calcolare la propria esatta posizione nello spazio senza dover fare affidamento solo sul tracking dalla Terra.
Non c’è comunque solo la Nasa fra le istituzioni intenzionate a sfruttare sempre di più le eccellenti opportunità offerte dai cubesat come precursori e dimostratori. Qui in Italia, per esempio, l’Istituto nazionale di astrofisica è coinvolto nello sviluppo di progetti per l’utilizzo di cubesat in un contesto astrofisico.
«L’Inaf ha un ruolo di coordinamento nei progetti Hermes Technologic Pathfinder (finanziato dall’Agenzia spaziale italiana) e Hermes Scientific Pathfinder (finanziato dalla Commissione europea) per la realizzazione di una costellazione di sei nano-satelliti 3U che dovrebbero essere testati in orbita nel 2022», spiega a Media Inaf Fabrizio Fiore dell’Inaf di Trieste, coordinatore scientifico del progetto Hermes, del cui consorzio fanno parte, oltre all’Inaf, numerosi istituti, università e piccole e medie imprese in Italia e Europa. «L’obiettivo principale di Hermes è dimostrare che la posizione accurata di transienti cosmici di alta energia – come gamma ray burst e le controparti elettromagnetiche di eventi di onde gravitazionali – può essere ottenuta usando hardware miniaturizzato, con un costo di almeno un ordine di grandezza inferiore a quello degli osservatori spaziali scientifici convenzionali, e tempi di sviluppo di pochi anni. La posizione dei transienti viene ottenuta studiando il tempo di ritardo dell’arrivo del segnale a diversi rivelatori ospitati da nano-satelliti su orbite terrestri basse».