Spesso ci riferiamo a loro come alle stelle più piccole e più dense dell’universo: sono così dense che un cucchiaino della loro materia pesa circa un miliardo di tonnellate. Parliamo delle stelle di neutroni, i nuclei di materia ultradensa che restano dopo l’esplosione in supernove di stelle massicce. Oggetti con una massa che può arrivare a circa il doppio di quella del Sole, concentrata in una sfera grande quanto una città. Ma una città grande quanto, esattamente? Gli astrofisici se lo domandano da tempo, e questa settimana una risposta due volte più precisa delle precedenti è stata pubblicata su Nature Astronomy da un team di ricercatori guidato da scienziati del Max Planck Institute for Gravitational Physics (Albert Einstein Institute).
Sfruttando i dati gravitazionali e dell’intero spettro elettromagnetico relativi alla prima fusione di due stelle di neutroni mai osservata nella storia – l’evento Gw 170817 – gli astrofisici del Max Planck sono riusciti ad affinare i numeri finora a disposizione, arrivando a stimare che una tipica stella di neutroni ha un raggio che si aggira attorno agli 11 chilometri. Per la precisione, tra 10,4 e 11,9 chilometri.
I ricercatori hanno utilizzato un modello basato su concetti primitivi che descrive come le particelle subatomiche interagiscano alle alte densità trovate all’interno delle stelle di neutroni. Sorprendentemente, come dimostra il team, calcoli teorici su scale di lunghezza inferiori a un miliardesimo di millesimo di millimetro possono essere confrontati con le osservazioni di un oggetto astrofisico a più di cento milioni di anni luce di distanza.
«L’evento Gw 170817 è stato causato dalla collisione di due oggetti delle dimensioni di una città avvenuto 120 milioni di anni fa, quando i dinosauri erano ancora qui sulla Terra», ricorda infatti Collin Capano, primo autore dello studio. «È successo in una galassia a mille miliardi di miliardi di chilometri da noi. Da ciò, abbiamo acquisito informazioni sulla fisica subatomica».
L’approccio seguito al Max Planck parte da un’intera famiglia di possibili equazioni di stato per le stelle di neutroni, direttamente derivate dalla fisica nucleare. Da questa famiglia, gli autori dello studio hanno selezionato i modelli che concordano con le osservazioni sulle onde gravitazionali della fusione Gw 170817 presenti nei dati di Ligo e Virgo.
«I risultati ottenuti sono entusiasmanti», dice un’altra autrice dell’articolo, Stephanie Brown, «non solo perché siamo stati in grado di migliorare notevolmente le misurazioni dei raggi delle stelle di neutroni, ma perché ci mostrano il destino delle stelle di neutroni durante la fusione binaria». I nuovi risultati implicano infatti che, se dovesse ripresentarsi un evento come Gw 170817, i rivelatori di Ligo e Virgo saranno in grado di distinguere senza problemi – avvalendosi delle sole onde gravitazionali – se a essersi fusa è stata una coppia di stelle di neutroni o di buchi neri, mentre per Gw 170817 le osservazioni nello spettro elettromagnetico furono cruciali per fare questa distinzione. Osservazioni elettromagnetiche che, però, continuano a rimanere cruciali per riconoscere un evento di fusione d’una binaria mista, formata cioè da una stella di neutroni e un buco nero.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Stringent constraints on neutron-star radii from multimessenger observations and nuclear theory“, di Collin D. Capano, Ingo Tews, Stephanie M. Brown, Ben Margalit, Soumi De, Sumit Kumar, Duncan A. Brown, Badri Krishnan e Sanjay Reddy