Usando gli strumenti di analisi sviluppati da Maria Bergemann del gruppo di ricerca “Lise Meitner” del Max Planck Institute for Astronomy (Germania), alcuni astronomi sono stati in grado di tracciare l’abbondanza dei due elementi chimici manganese e ferro negli ultimi 13 miliardi di anni. Tra gli autori dell’articolo che presenta lo studio, c’è anche Gabriele Cescutti, giovane ricercatore dell’Inaf e Astrofit Fellow dell’Osservatorio Astronomico di Trieste, esperto in evoluzione chimica delle galassie. Il loro (inaspettato) risultato pone dei vincoli sulle proprietà delle supernove di Tipo Ia, necessarie per produrre i due elementi.
In precedenza, si riteneva che la maggior parte delle supernove di tipo Ia fosse originata da una nana bianca in orbita attorno a una stella ordinaria, capace di divorare l’idrogeno degli strati esterni della stella compagna. Tuttavia, le abbondanze del manganese nelle stelle della Via Lattea mostrano che, al contrario, tre di queste esplosioni su quattro derivano da altri tipi di supernove Ia. La differenza tra lo scenario standard e i meccanismi di esplosione alternativi può avere conseguenze fondamentali nella relazione tra il massimo della luminosità della supernova, il modo in cui la luminosità cambia nel tempo e la scala temporale complessiva delle esplosioni. Questo, a sua volta, può avere ricadute non trascurabili per la cosmologia, visto che molte osservazioni usano le supernove di tipo Ia come candele standard. È chiaro che, se le supernove non sono candele standard di uno stesso tipo, ma sono invece di almeno due tipi diversi, con proprietà intrinseche sistematicamente diverse, le deduzioni cosmologiche potrebbero dover essere riviste.
Per alcuni elementi, in particolare il ferro, i nuovi metodi basati su teorie delle atmosfere stellari che non assumono un equilibrio termodinamico locale (“modelli Non-Lte”) producono lo stesso risultato dei loro precursori semplificati. Ma per altri ci sono notevoli differenze. Bergemann e il suo team, tra cui Andrew Gallagher, Camilla Juul Hansen e Philipp Eitner, ne hanno trovato un esempio tracciando l’evoluzione chimica dell’elemento manganese. Gallagher è riuscito a migliorare notevolmente le prestazioni del codice 3d Non Lte; Hansen ha fornito dati osservativi di alta qualità riguardanti le regioni spettrali essenziali per le osservazioni, che si trovano nel vicino ultravioletto; Eitner ha elaborato un solido contesto per applicare la teoria Non-Lte alla modellazione degli spettri stellari, estendendo tale analisi ai casi in cui non possiamo osservare uno spettro per le stelle separate, ma solo per la luce combinata delle numerose stelle in un ammasso stellare.
Analizzando 42 stelle, gli astronomi sono stati in grado di ricostruire la storia della produzione di manganese all’interno della nostra galassia. Dal punto di vista chimico, l’universo ha avuto origine in modo molto semplice, con nient’altro che idrogeno ed elio formatisi poco dopo il Big Bang, circa 13.8 miliardi di anni fa. Una grande frazione di elementi più pesanti sono stati prodotti successivamente, all’interno delle stelle. Altri elementi – come il manganese e il ferro – sono stati prodotti (e vengono tuttora prodotti) nelle violente esplosioni di supernova che segnano la fine della vita di certe stelle. Le supernove disperdono la materia della stella che esplode, diffondendo nell’ambiente circostante gli elementi più pesanti. Quando le stelle delle generazioni successive si formeranno, incorporeranno questi elementi più pesanti. Tracce spettrali di questi elementi sono osservabili nelle atmosfere delle stelle. Tra l’altro, gli elementi più pesanti nel disco di gas attorno alla stella neonata sono la base chimica per la formazione di pianeti e, nel caso del Sistema solare, per la formazione della vita su uno di quei pianeti, la Terra.
In una stella, l’abbondanza di elementi come il ferro nella sua atmosfera è un indicatore diretto del tempo di vita della stella stessa. Usando spettri stellari ad alta risoluzione ottenuti con telescopi da 8-10 metri – sia il Very Large Telescope dell’Eso che l’Osservatorio Keck – Bergemann e i suoi colleghi hanno misurato l’abbondanza di ferro e manganese per 42 stelle, alcune vecchie 13 miliardi di anni. Usando l’abbondanza del ferro come indicatore dell’età di ogni stella rispetto alle altre, sono stati in grado di ricostruire la storia della produzione di manganese nella nostra galassia. Con loro notevole sorpresa, l’analisi ha mostrato che il rapporto tra manganese e ferro è abbastanza costante per quel lungo periodo. Precedenti studi meno raffinati avevano trovato una tendenza nella produzione di manganese in costante aumento negli ultimi 13 miliardi di anni di storia della galassia. Ancora più sorprendentemente, gli astronomi hanno trovato lo stesso rapporto costante tra manganese e ferro in tutte le diverse regioni della nostra galassia, e anche nelle galassie vicine del gruppo locale. Almeno nel nostro vicinato cosmico, il rapporto tra manganese e ferro sembra essere una costante chimica universale.
Ed è qui che entrano in gioco le supernove. Il manganese ha bisogno della straordinaria energia liberata nelle esplosioni di supernova per formarsi. Diversi tipi di supernova producono ferro e manganese in diversi rapporti. Con le precedenti misurazioni meno accurate di manganese, gli astronomi avevano concluso che una frazione significativa di supernove di tipo Ia avviene in seguito a una nana bianca che divora idrogeno da una stella compagna gigante. Ma per spiegare perché il rapporto manganese-ferro è stato costante nella storia galattica, le cose devono essere andate diversamente. Esistono molti altri modi per produrre una supernova di tipo Ia: coppie di nane bianche in orbita strettissima, nane bianche che sviluppano una doppia detonazione oppure sistemi di due nane bianche che sperimentano doppie detonazioni. Per gli osservatori che misurano la curva della luce dell’esplosione, ovvero il modo in cui la sua luminosità cambia nel tempo, questi scenari sono indistinguibili dallo scenario che vede coinvolte una nana bianca e una stella gigante.
Questa non è una buona notizia per i cosmologi che, per misurare l’accelerazione dell’espansione cosmica, fanno affidamento sulle candele standard supernova Ia, dove tali esplosioni dovrebbero avere una luminosità intrinseca uniforme e ben definita. Ciò che è ancora peggio è che, per spiegare il rapporto costante osservato tra manganese e ferro, Bergemann e i suoi colleghi hanno dovuto supporre che tre quarti di tutte le esplosioni di supernova Ia nella nostra galassia siano dovute a compatte esplosioni binarie di nane bianche o a doppie detonazioni. Quindi, parrebbe che le supernove Ia “non standard” siano la regola, non l’eccezione.
L’apporto di Cescutti al lavoro è stato fondamentale e Media Inaf lo ha raggiunto per avere un commento sui risultati ottenuti e sul suo contributo. «Recenti estese osservazioni di scoppi di supernove Ia hanno rilevato l’esistenza di una diversità fra di loro. Questo ha portato alla proposta dell’esistenza di diverse classi di supernova Ia. Il manganese nelle stelle della nostra galassia può quantificare il ruolo di questi diversi tipi di supernove Ia», spiega Cescutti. «Ci si potrebbe chiedere, perché proprio il manganese? Il manganese è un elemento monoisotopico (ovvero ha un solo isotopo stabile, il Mn55) del picco del ferro, e anche per questo è molto sensibile al tipo di esplosione, come evidenziato da studi teorici. Grazie ai dettagliati modelli di evoluzione chimica che ho sviluppato all’Inaf di Trieste, ho potuto quantificare l’impatto dei due diversi channels di supernove Ia accoppiando i miei modelli alle nuove misure di manganese ottenute a Heidelberg dal gruppo di Maria Bergemann».
Non c’è dubbio che altri gruppi metteranno alla prova i risultati di Bergemann e dei suoi colleghi. Già adesso un gruppo di astronomi del California Institute of Technology ha trovato risultati simili per un numero di galassie nane.
Il prossimo rilascio di dati (Dr3) del satellite Gaia dell’Esa, previsto per il 2021, potrebbe fornire ulteriori dati sulla prevalenza dei sistemi binari di nane bianche, rafforzando il caso per il nuovo tipo di supernova Ia. Successivamente, Lisa (Laser Interferometer Space Antenna) – il cui lancio è previsto nel 2034 – sarà in grado di rilevare le fusioni di onde gravitazionali dei sistemi binari di nane bianche a grandi distanze, consentendo un controllo diretto delle previsioni di Bergemann e dei suoi colleghi.
Nel frattempo, i cosmologi saranno impegnati a verificare quali conseguenze potrebbe avere il nuovo tipo di supernova per le loro deduzioni che riguardano l’universo nel suo insieme. Le correzioni potrebbero anche portare a una riduzione della discrepanza nel valore della costante di Hubble misurato usando le supernova di tipo Ia e quello misurato usando il fondo cosmico a microonde. I nuovi risultati sulle supernove Ia potrebbero aiutarci a rendere più coerenti gli attuali modelli e le osservazioni cosmologiche. Questo lavoro rappresenta un’impressionante dimostrazione dell’interconnessione della ricerca astronomica: sviluppa un nuovo metodo per analizzare la chimica delle stelle e potrebbe finire per portare a un cambiamento nella nostra visione dell’universo nel suo insieme.
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo in uscita su Astronomy & Astrophysics “Observational constraints on the origin of the elements III. Evidence for the dominant role of sub-Chandrasekhar SN Ia in the chemical evolution of Mn and Fe in the Galaxy“, di Eitner, M. Bergemann, C. J. Hansen, G. Cescutti, I. R. Seitenzahl, S. Larsen e B. Plez