Una buona parte dei pianeti del Sistema solare sono dotati di un campo magnetico, generato dalle correnti elettriche che circolano nel nucleo planetario. Hanno un campo magnetico Mercurio, la Terra, Giove, Saturno, Urano e Nettuno. La presenza di un campo magnetico planetario genera una magnetosfera, ossia una zona dello spazio attorno al pianeta dove il moto delle particelle cariche è condizionato dal campo magnetico stesso. Si tratta di un elemento positivo: ad esempio, una magnetosfera è in grado di proteggere l’atmosfera del pianeta dall’erosione esercitata dal vento solare, quel flusso di particelle cariche – elettroni, protoni e nuclei di elio – che la nostra stella emette continuamente nello spazio.
Tipico è il caso di Marte che, essendo un pianeta senza un campo magnetico globale, ha perso nello spazio quasi completamente la sua atmosfera, processo coadiuvato anche da un campo gravitazionale poco intenso. In realtà le cose possono essere più complicate di così, come è stato recentemente scoperto a proposito di Urano, uno dei due giganti ghiacciati – insieme a Nettuno – del Sistema Solare. Urano, il pianeta che nel 1781 raddoppiò improvvisamente i confini del Sistema solare e che nel 1846 permise la scoperta di Nettuno, è sempre stato considerato “bizzarro” dagli astronomi. Nell’era pre-Voyager principalmente per via dell’inclinazione dell’asse di rotazione (circa 98° rispetto all’ortogonale all’eclittica), che ne determina il rotolamento sul piano orbitale e la rotazione retrograda: su Urano il Sole sorge a ovest e tramonta a est. Un pianeta alla rovescia insomma. Nell’era post-Voyager, fonte di stupore è stato il campo magnetico di Urano che – interagendo con le particelle elettricamente cariche del vento solare – dà vita a un’insolita magnetosfera di forma irregolare.
In generale i campi magnetici planetari sono allineati con l’asse di rotazione, ma il campo magnetico di Urano è inclinato di circa 60 gradi rispetto all’asse planetario, e non si trova nemmeno al centro: è sfalsato di un terzo del raggio. Come conseguenza, a causa del campo magnetico sbilenco, le aurore su Urano non si verificano ai poli – come avviene sulla Terra, Giove e Saturno – ma alle medie latitudini. Inoltre la coda della magnetosfera di Urano, che si estende nello spazio in direzione opposta al Sole per 10 milioni di km, ha le linee del campo magnetico attorcigliate dalla rotazione laterale di Urano e ne risulta una forma che assomiglia un po’ ad un lungo cavatappi. Così vanno le cose su un mondo capovolto.
Difficile studiare Urano in modo continuativo per cercare di capirne i segreti. L’unica sonda a compiere un flyby con il pianeta è stato il Voyager 2 nel lontano 1986. In attesa di una nuova missione spaziale verso Urano (e Nettuno), una cosa che si può fare è rianalizzare i vecchi dati trasmessi dal Voyager 2 per vedere se c’è qualcosa sfuggito ai ricercatori. Ed è quello che hanno fatto Gina DiBraccio e Daniel J. Gershman, del Goddard Space Flight Center della Nasa, come spiegano nel loro articolo sulla magnetosfera di Urano pubblicato su Geophysical Research Letters.
DiBraccio e Gershman hanno ripreso in mano i dati sul campo magnetico di Urano misurati dal magnetometro del Voyager 2 che ne registrava direzione e intensità a mano a mano che la sonda si spostava nell’ambiente circumplanetario. A differenza del passato però hanno analizzato i valori del campo magnetico ogni 1,9 secondi (invece di diversi minuti), ossia hanno aumentato la risoluzione spaziale. Considerata la velocità del Voyager 2 al momento del flyby con Urano, significa campionare il campo magnetico ogni 50 km circa. La nuova analisi dei dati ha rivelato nella coda della magnetosfera, alla distanza di 54 raggi di Urano, la presenza di un plasmoide in allontanamento dal pianeta. Si tratta del primo plasmoide mai osservato nella magnetosfera di un gigante ghiacciato.
Di che cosa si tratta? Un plasmoide è semplicemente una bolla di plasma – o gas ionizzato – che assume una forma definita grazie all’azione di contenimento di un campo magnetico esterno. Queste strutture si formano quando le linee di forza dei campi magnetici nella coda della magnetosfera planetaria si riconnettono fra di loro. Confrontando i risultati con i plasmoidi osservati nelle magnetosfere di Giove, Saturno e Mercurio, DiBraccio e Gershman hanno stimato per il plasmoide di Urano una forma cilindrica, con una lunghezza di almeno 204mila km e una larghezza fino a circa 400mila km. Come tutti i plasmoidi planetari, anche questo era composto da particelle elettricamente cariche – principalmente idrogeno ionizzato – che, in precedenza, apparteneva all’atmosfera di Urano. In casi come questo le forze elettromagnetiche hanno il sopravvento sulla forza di gravità perché sono molto più intense e, da questo punto di vista, la presenza di un campo magnetico diventa un fattore fisico in grado di drenare l’atmosfera.
Su tempi scala sufficientemente lunghi, i plasmoidi in fuga dalla magnetosfera possono sottrarre ioni dall’atmosfera di un pianeta, cambiandone radicalmente la sua composizione. Non ci si aspettava di trovare plasmoidi come quello osservato se la magnetosfera fosse dovuta solo al vento solare, quindi ci devono essere delle forze interne ad Urano che causano un trasporto di massa nella magnetosfera. Al momento non è chiaro quale possa essere il processo fisico in atto. Plasmoidi potrebbero essere presenti anche nella coda magnetosferica di Nettuno, ma non ci sono dati del Voyager 2 per via della traiettoria seguita durante il flyby del 1989.
Secondo le stime di DiBraccio e Gershman, i plasmoidi come quello osservato potrebbero contribuire tra il 15 per cento e il 55 per cento per la perdita di massa dell’atmosfera di Urano, una percentuale maggiore rispetto a Giove o Saturno. In sostanza, questo potrebbe essere il meccanismo dominante con cui Urano diffonde la sua atmosfera nello spazio. Al momento, con una sola osservazione isolata nel tempo, non è possibile dire se il plasmoide osservato sia la regola oppure l’eccezione e quale processo determini il trasporto di massa nella magnetosfera. Per chiarire questo e gli altri problemi relativi al “bizzarro” pianeta Urano – senza dimenticare Nettuno – sarebbe necessaria una missione spaziale dedicata, in grado di monitorare per mesi il pianeta a caccia di misteri da risolvere.
Per saperne di più:
- Leggi su Geophysical Research Letters l’articolo “Voyager 2 constraints on plasmoid‐based transport at Uranus”, Gina A. DiBraccio e Daniel J. Gershman