Basi e moduli lunari che le agenzie spaziali di mezzo mondo stanno progettando in vista di una prima colonizzazione della Luna annoverano fra i materiali da costruzione un elemento fornito dagli stessi astronauti: l’urea contenuta nella loro pipì.
Un gruppo di ricercatori europei ha dimostrato che anche la materia organica potrebbe essere impiegata utilmente come plastificante nel calcestruzzo delle strutture, contribuendo a rendere maggiormente manipolabile la miscela iniziale prima che si indurisca.
Nasa, Esa e Agenzia spaziale cinese guardano alla Luna come passaggio obbligato della futura esplorazione umana dello spazio, e aprire un cantiere fuori dal nostro amato Pianeta non è per niente banale. Su di un satellite privo di atmosfera si è continuamente esposti ad alti livelli di radiazioni cosmiche, temperature estreme, eventuale bombardamento di meteoriti e un concreto problema logistico: ricavare materiale da costruzione in loco – visto che trasportare materiale dalla Terra costa qualcosa come 20mila euro al kilo.
E allora perché non produrre, mediante stampa 3D, moduli abitativi lunari utilizzando per quanto possibile materie prime disponibili sul posto? Media Inaf ha raggiunto Luca Valentini, ricercatore dell’Università di Padova fra i firmatari di uno studio europeo – a cui hanno collaborato Norvegia, Spagna, Paesi Bassi e Italia – da poco pubblicato su Journal of Cleaner Production.
«L’idea di fondo è quella di utilizzare regolite lunare e piccole quantità di urea, da impiegare come fluidificante, per ricavare un buon legante cementizio da utilizzare nella stampa 3D», spiega Valentini. «I test di laboratorio hanno dimostrato che l’urea conferisce al legante cementizio una fluidità adeguata alla stampa 3D. Le proprietà meccaniche sono buone, se teniamo presente che la ridotta gravità lunare richiede un impiego di materiali resistenti a compressione proporzionalmente minore rispetto a quelli cui siamo abituati sulla Terra».
Come vi è venuto in mente di servirvi dell’urina degli astronauti per ricavare materiali di costruzione?
«È stata un’intuizione del gruppo di ricerca della Østfold University guidato da Anna-Lena Kjøniksen. E in fondo è un’idea vecchia di qualche millennio: già all’epoca dell’impero romano era conosciuto l’effetto della materia organica sulle proprietà di lavorabilità dei leganti idraulici. Per rendere il calcestruzzo più fluido i romani aggiungevano piccole quantità di urina, latte e grassi animali».
Si recupera dunque un sapere antico?
«Non direi. L’avventura spaziale ci ha insegnato a non buttare via nulla. È inoltre bene ricordare che i fluidificanti attualmente utilizzati nell’industria cementizia sono ottenuti principalmente a partire da idrocarburi. L’utilizzo di un approccio di economia circolare nel produrre questi additivi è dunque senz’altro benefico in termini di sostenibilità, anche per applicazioni a terra».
Questo processo di stampa 3D è complicato? È un gioco da ragazzi in stile Piccolo Chimico, o serve un vero e proprio kit da laboratorio?
«Il principio chimico è sostanzialmente quello della distillazione, che di per sé non è particolarmente complicato. Certo è necessario utilizzare una strumentazione sufficientemente raffinata per poter estrarre composti che poi presentino un grado di purezza soddisfacente. A bordo della Stazione spaziale internazionale esiste una strumentazione simile, in grado di estrarre acqua distillata dalle urine del personale di bordo. Bisogna tener conto che, oltre all’urea, l’urina umana contiene composti chimici che potrebbero essere utilizzati come additivi in leganti cementizi alternativi. Uno di questi è l’acido citrico, anch’esso noto per le proprietà fluidificanti quando aggiunto in piccole quantità a cementi ad attivazione alcalina».
Per saperne di più:
- Leggi su Journal of Cleaner Production l’articolo “Utilization of urea as an accessible superplasticizer on the moon for lunar geopolymer mixtures” di Shima Pilehvar, Marlies Arnhof, Ramon Pamies, Luca Valentini e Anna-Lena Kjøniksen