Il 28 novembre del 2008, su Science, viene pubblicato un articolo dal titolo “Immagini ottiche di un pianeta extrasolare a 25 anni uce dalla Terra”. Nel paper, Paul Kalas e colleghi annunciano la scoperta, effettuata grazie alle immagini ottenute dallo Hubble space telescope, di Fomalhaut b, un esopianeta in orbita attorno a Fomalhaut, la stella più luminosa nella costellazione del Pesce Australe.
Qualche anno dopo, a marzo del 2012, un altro gruppo di astronomi pubblica su ApJ un secondo articolo che ribalta il risultato precedente. Stando a questo studio, Fomalhaut b non sarebbe un esopianeta ma piuttosto una nube di polvere. Un risultato scaturito dall’interpretazione dei dati ottenuti grazie alle osservazioni effettuate con il telescopio Spitzer.
Storia chiusa, direte. E invece no. Perché pochi mesi dopo, sempre su ApJ, viene pubblicato un terzo articolo – ripreso all’epoca anche su Media Inaf – nel quale, sulla base dei dati ottenuti dal telescopio Subaru alle Hawaii, incrociati con le immagini originali di Hubble e con le osservazioni di Spitzer, gli autori riassegnano a Fomalhaut b il titolo di esopianeta.
Tutto è bene quel che finisce bene. Sbagliato. Un nuovo studio, pubblicato oggi su Pnas, fa infatti nuovamente dietro-front, riesumando l’ipotesi che Fomalhaut b non sia in realtà un pianeta, ma piuttosto un’ampia nube di particelle in espansione, frutto di una collisione cosmica. Un risultato, questo, al quale il team di astronomi dell’Università dell’Arizona che ha condotto la ricerca è giunto attraverso sofisticate simulazioni al computer.
«Il nostro studio, analizzando tutti i dati di Hubble disponibili in archivio su Fomalhaut», dice András Gáspár, astronomo allo Steward Observatory dell’Università dell’Arizona e primo autore della pubblicazione, «ha rivelato diverse caratteristiche che insieme dipingono un’immagine secondo la quale l’oggetto di dimensioni planetarie potrebbe non essere mai esistito».
Nessun pianeta completamente formato, dunque, ma piuttosto una miscela di ghiaccio e polvere costituita, spiegano gli autori, da particelle di circa 1 micron di dimensioni – pressappoco 1/50 del diametro di un capello umano – prodotte dallo scontro titanico di due planetesimi che, secondo le loro stime, misuravano ciascuno circa 200 chilometri di diametro – pari a quasi la metà delle dimensioni dell’asteroide Vesta.
«Queste collisioni sono estremamente rare», aggiunge Gáspár, «e questo è il grosso problema che effettivamente abbiamo nel vederne una». I loro risultati, tuttavia, sono consistenti con quello che sarebbe il primo rilevamento in assoluto delle conseguenze di una di queste collisioni. Una collisione che i ricercatori hanno infatti stimato avvenire intorno a Fomalhaut una volta ogni 200mila anni.
Tenendo conto di tutti i dati disponibili, gli autori ritengono inoltre che la collisione sia avvenuta non troppo tempo prima delle prime osservazioni fatte da Hubble nel 2004, e che la nuvola di detriti risultante, inizialmente più compatta, si sia espansa col tempo a tal punto – attualmente supererebbe i 300 milioni di chilometri di larghezza – da essere sotto il limite di rilevazione di Hubble. E questo sarebbe il motivo per cui nelle immagini di Hubble analizzate dagli scienziati l’oggetto andava via via diventando sempre meno evidente, fino a svanire completamente in quelle del 2014.
Per saperne di più:
- Leggi su Proceedings of the National Academy of Sciences l’articolo “New HST data and modeling reveal a massive planetesimal collision around Fomalhaut” di András Gáspár e George H. Rieke
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