Sarà proprio così come lo ha immaginato l’illustratore Lorenzo Santinelli il sistema di esopianeti attorno a Proxima Centauri, qui a fianco? Difficile dirlo, ma dopo la recente scoperta a guida Inaf di Proxima c, il possibile secondo pianeta in orbita attorno a quella che è la stella in assoluto più vicina alla Terra – ovviamente dopo il nostro Sole – gli scienziati di tutto il mondo hanno intensificato la loro attenzione su questa porzione del nostro vicinato cosmico. L’obiettivo finale è riuscire finalmente a identificare direttamente – cioè con una vera e propria immagine – Proxima c. Un compito decisamente al limite delle nostre attuali capacità tecnologiche, una sfida che è stata accettata e portata avanti da un team internazionale di ricercatori, che ha cercato di realizzare lo “scatto perfetto” di Proxima con Sphere, un sofisticatissimo strumento installato al Very Large Telescope dell’Eso, in Cile. Ma come è andato questo shooting così particolare? Lo chiediamo a Raffaele Gratton, dell’Inaf di Padova, alla guida del team che ha condotto questa ricerca, accettata per la pubblicazione sulla rivista Astronomy & Astrophysics.
Gratton, per ambientare meglio la storia per i lettori di Media Inaf, partiamo da un breve identikit di Proxima Centauri, la stella, che è parte di un sistema stellare più complicato, quello di alfa Centauri.
«Il sistema di Alpha Centauri è il più prossimo al Sole, a solo quattro anni-luce di distanza. Quasi dietro l’angolo, anche se viaggiando a 45 km al secondo (la velocità richiesta per sfuggire alla gravità del Sole) occorrono circa 30mila anni per arrivarci. Questo sistema è composto da una coppia centrale formata da due stelle simili al Sole che orbitano una attorno all’altra in circa 80 anni (più o meno lo stesso tempo che Urano impiega a compiere un’orbita attorno al Sole), e da una terza stellina, Proxima, a una grande distanza dalle prime due, circa 13mila volte la distanza della Terra dal Sole, e con un periodo orbitale di milioni di anni; in questo momento (e per alcune decine di migliaia di anni ancora) Proxima è la stella più vicina al Sole. Mentre le due stelle centrali appaiono come una stella singola a occhio nudo, Proxima risulta abbastanza distante da Alfa Centauri, circa quattro volte il diametro apparente della Luna. Proxima è una stella molto piccola, solo un decimo della massa del Sole. Mentre Alfa Centauri è una delle stelle più brillanti del cielo perché vicina al Sole, Proxima non è neanche visibile ad occhio nudo, e ci vuole un discreto telescopio per vederla. Si trova proiettata sul piano della Galassia, per cui si confonde facilmente in mezzo a moltissime altre stelle».
La stella Proxima è salita alla ribalta nel 2016 per la scoperta di un piccolo pianeta attorno ad essa. Può darci qualche dettaglio in più?
«Nel 2016 Anglada-Escudé e collaboratori trovarono che la velocità di Proxima non è esattamente costante, ma oscilla di alcuni metri per secondo. Questo è dovuto alla presenza di un pianeta (Proxima b) grande poco più della Terra, con un periodo di un paio di settimane. L’aspetto molto interessante è che essendo questo pianeta molto vicino a Proxima, riceve più o meno tanta energia dalla stella quanta ne riceve la Terra dal Sole, anche se Proxima è molto meno luminosa del Sole. Una configurazione che potrebbe rendere questo pianeta abitabile. È emozionante e di grande impatto scientifico sapere che ci sia un pianeta potenzialmente abitabile attorno alla stella più vicina al Sole. Tuttavia, non è facile capire se ci sia della vita su questo pianeta, perché essendo così vicino alla stella non riusciamo a vederlo».
E poi è arrivata la scoperta coordinata dal suo collega Inaf Mario Damasso ad “aggiungere” un nuovo pianeta in orbita attorno a Proxima…
«A marzo dell’anno scorso Mario ci ha telefonato per dirci che dalla loro rianalisi di tutti i dati sulla velocità di Proxima c’era evidenza di un secondo pianeta, circa 5-6 volte più grande di quello già noto, ma a una distanza dalla stella molto maggiore, più o meno quella di Marte dal Sole. Lui ci ha quindi chiesto di vedere se nei nostri dati di immagini ad alto contrasto di Proxima fosse possibile vedere questo secondo pianeta».
E qui arriviamo allo strumento che avete utilizzato nel vostro ultimo lavoro, un formidabile “occhio artificiale” che può permetterci, letteralmente, di vedere gli esopianeti: Sphere. Come funziona Sphere e fino a quale livello di sensibilità deve spingersi per riuscire a immortalare Proxima c?
«Sphere è uno strumento costruito da un consorzio europeo – cui partecipiamo – ed è operativo su uno dei telescopi del Very Large Telescope dello European Southern Observatory (Eso). È uno strumento fatto per vedere pianeti attorno ad altre stelle. Per questo occorre realizzare il massimo contrasto possibile: perché, anche nei casi più favorevoli, vedere un pianeta attorno a un’altra stella è come vedere una falena che vola attorno ad un lampione a Roma guardandolo dalla Stazione spaziale o da Milano (trascuro qui che questa ultima cosa naturalmente non è possibile per la curvatura della Terra). Per fare questo occorre avere un sistema molto efficace che permette di compensare la degradazione delle immagini dovuta alla turbolenza dell’atmosfera (ottica adattiva estrema), un coronografo che permette di sopprimere la luce della stella ma non del pianeta al meglio possibile, e delle tecniche di analisi delle immagini molto sofisticate che permettono di rimuovere gran parte degli effetti residui dovuti allo strumento. È molto difficile, ma ora ci riusciamo».
La vostra ricerca con Sphere cosa ci racconta di questo elusivo pianeta?
«All’inizio eravamo molto scettici, perché non ci aspettavamo di vederlo: pensavamo fosse troppo debole. Inoltre, il periodo di Proxima c è di soli 5 anni, per cui il pianeta si sposta da un giorno all’altro in modo notevole. Questo rende difficile combinare le immagini ottenute in notti diverse. Fortunatamente, avevamo una bella sequenza di immagini che era stata presa per un altro scopo ma nel momento migliore per poterle combinare tra loro. E quando abbiamo fatto questa combinazione, abbiamo trovato un possibile segnale dove ci aspettavamo di trovarlo. Se questo è effettivamente Proxima c, allora il pianeta è molto più brillante di quanto ci aspettassimo. Una possibile spiegazione è che potrebbe essere circondato da un sistema di anelli, un po’ più grande di quello di Saturno, ma potrebbe anche essere una nube di polvere. Oppure potrebbe non essere Proxima c…»
Secondo lei, riusciremo tra poco a immortalare Proxima c? Cosa si sta architettando tra gli astrofisici nel mondo per raggiungere questo ambizioso obiettivo?
«Al momento, Sphere è probabilmente lo strumento migliore al mondo per questo scopo; possiamo ottenere nuove osservazioni, e più ne facciamo meglio possiamo sperare di vedere Proxima c. In futuro si potrà fare decisamente meglio, quando saranno disponibili telescopi di dimensioni più grandi di quelli attuali, in particolare l’Extremely Large Telescope dell’Eso, con il suo diametro di 39 metri».
Oltre alla prima immagine di Proxima C, quali altri studi su questi esopianeti così vicini a noi potranno essere intrapresi e quali informazioni potranno darci sulla loro natura e sulla loro storia?
«Se abbiamo davvero rivelato Proxima c, questo può molto aiutare l’osservazione del pianeta più interno, essenzialmente perché potremmo avere un’idea precisa di dove guardare attorno alla stella per vederlo. E questo potrebbe mostrare qualche testimonianza del fatto che ospita la vita, anche se molti sono scettici a riguardo. Comunque, il sistema di Proxima comincia ad apparire complesso e con diverse analogie con il Sistema solare: un pianeta simile alla Terra vicino alla stella, un secondo pianeta che somiglia ad un piccolo Nettuno più distante, ed ancora più distante, un anello di polvere e detriti che ricorda la nostra fascia di Kuiper. Un sistema complesso che sembra una versione in scala ridotta del nostro Sistema solare».
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo “Searching for the near infrared counterpart of Proxima c using multi-epoch high contrast SPHERE data at VLT”, di Raffaele Gratton et al. accettato per la pubblicazione sulla rivista Astronomy & Astrophysics