Un gruppo di ricerca del Politecnico di Delft (Technische Universiteit Delft), che conta più di un italiano fra le sue fila, ha appena pubblicato su Acta Astronautica uno studio sull’impiego del grafene nella realizzazione di nuovi sistemi di propulsione per sonde e strumenti scientifici nello spazio. Obiettivo: costruire un vascello spaziale, con tanto di sofisticatissime vele in grafene che si gonfino di luce! Letteralmente.
Karl Friedrich Hieronymus von Münchhausen, ai più conosciuto come il barone di Münchhausen, protagonista della serie di avventure immaginate da Rudolf Erich Raspe in una storia per bambini datata 1785 o giù di lì, è il tipo di viaggiatore stravagante che potrebbe uscirsene di punto in bianco con una sparata del genere. Immaginatevi la scena: comodamente sprofondati in una poltrona da salotto venite a sapere che fra un viaggio a cavallo di una palla di cannone e una rocambolesca uscita dalle sabbie mobili tirato per i capelli dalle sue stesse mani, il barone è stato persino nello spazio. E ci è arrivato trasportato da venti poderosi a bordo di un naviglio con tanto di equipaggio al gran completo.
Finzione?
Ma quale finzione: verità. O perlomeno una possibile verità nel futuro dell’esplorazione spaziale. Quando saremo in grado di spingere una sonda fuori dal Sistema solare gonfiando una vela di fotoni.
L’agenzia spaziale giapponese Jaxa, con la missione Ikaros (Interplanetary Kite-craft Accelerated by Radiation Of the Sun) del 2010, ha già dimostrato con successo la fattibilità di un sistema di propulsione “solare”. Con la sua vela si è spinta fino all’orbita di Venere. Nel 2019 la Light Sail-2 della Planetary Society, progettata per navigare nell’orbita terrestre facendo conto sulla radiazione solare, ha confermato che il sistema di vele spaziali ha una sua efficacia ed è economico.
Pro: le vele non richiedono carburante per spostarsi e tantomeno i pesanti serbatoi che al propellente di turno si accompagnano. Contro: la radiazione luminosa (con la “spinta” dei fotoni sulla vela di grafene) conferisce un’accelerazione rilevante solo quando le vele sono grandi abbastanza. Si parte da qualche metro quadro per arrivare al chilometro. La fabbricazione del materiale in sé è relativamente semplice. Dispiegare nello spazio una vela di queste dimensioni lo è meno.
Con l’aiuto dell’Agenzia spaziale europea, i ricercatori del Politecnico di Delft hanno ottenuto l’accesso alla Zarm Drop Tower di Brema e hanno potuto eseguire un primo test sulle vele di grafene in condizioni di microgravità. Gli esperimenti sono stati eseguiti all’interno di una capsula in caduta libera: i piccoli prototipi di vela sono stati colpiti da un fascio laser della potenza di 1 watt e hanno fatto registrare accelerazioni fino a 1m/s².
«Vogliamo arrivare con le nostre vele su Marte, prima di Elon Musk», scherza Santiago J. Cartamil-Bueno, uno dei tre firmatari dello studio e fondatore della Scale Nanotech, una startup estone che opera in Germania. Attualmente le vele in grafene sono in fase di sviluppo all’Esa Business Incubator Center Hessen & Baden-Württemberg e cercano nuovi partner per salpare al più presto verso il cielo.
Per saperne di più:
- Leggi su Acta Astronautica l’articolo “Light-induced propulsion of graphene-on-grid sails in microgravity” di Rocco Gaudenzi, Davide Stefani e Santiago Jose Cartamil-Bueno