Il telescopio spaziale Hubble della Nasa e dell’Esa e l’Osservatorio Gemini – in particolare il telescopio Gemini Nord, che si trova sul vulcano dormiente Mauna Kea, nelle isole Hawaii – stanno collaborando con la sonda spaziale Juno della Nasa per studiare le tempeste più potenti del Sistema solare, che hanno luogo a oltre 800 milioni di chilometri di distanza da Terra, sul gigantesco pianeta Giove.
Un team di ricercatori guidato da Michael Wong dell’Università della California Berkeley, tra cui Amy Simon del Goddard Space Flight Center della Nasa e Imke de Pater di Berkeley, hanno combinato osservazioni a più frequenze di Hubble e Gemini con quelle riprese da Juno – in orbita polare attorno a Giove dall’estate 2016 – scoprendo nuove e interessanti caratteristiche del turbolento gigante gassoso.
Le continue tempeste di Giove sono enormi rispetto a quelle che si verificano sulla Terra, con fulmini che raggiungono un’estensione di 60 chilometri, cinque volte più alti dei tipici fulmini terrestri, e tre volte più energetici di quelli più potenti. Come accade per i fulmini terrestri, anche quelli di Giove agiscono come trasmettitori radio, inviando onde radio e luce visibile quando attraversano il cielo.
Ogni 53 giorni, Juno si avvicina alle tempeste gioviane rilevando segnali radio noti come whistler e sferics (abbreviazione di atmospherics, onde radio che su Giove hanno frequenze attorno ai 600 MHz), che possono essere utilizzati per mappare i fulmini anche sul lato del pianeta alla luce del Sole o nelle profondità delle nubi, dove i fulmini non sarebbero altrimenti visibili. In concomitanza con ogni passaggio, Hubble e Gemini osservano lo stesso quadro da lontano, catturando vedute globali del pianeta ad alta risoluzione, che sono fondamentali per interpretare le osservazioni ravvicinate di Juno. «Il radiometro a microonde di Juno indaga le profondità dell’atmosfera del pianeta rilevando onde radio ad alta frequenza che possono penetrare attraverso gli spessi strati di nubi. I dati di Hubble e Gemini possono dirci quanto sono spesse queste nubi e quanto in profondità stiamo riuscendo a vedere», spiega Simon.
Mappando i fulmini rilevati da Juno sulle immagini di Hubble, oltre che su quelle a infrarossi catturate contemporaneamente da Gemini, il team è stato in grado di dimostrare che i fulmini sono associati a una combinazione di tre strutture nuvolose: nubi profonde cariche di acqua, grandi torri convettive generate dall’aria umida in risalita, e regioni chiare presumibilmente generate dall’instaurarsi di una corrente verso il basso di aria più asciutta, fuori dalle torri convettive. I dati di Hubble mostrano l’altezza delle spesse nubi che costituiscono le torri convettive, nonché la profondità delle nubi cariche di acqua. I dati di Gemini rivelano chiaramente le zone più chiare nelle nubi, ai livelli più alti, dalle quali è possibile osservare le nubi più in profondità.
Wong pensa che i fulmini siano comuni in aree turbolente conosciute come regioni filamentose ripiegate, dove presumibilmente si sta verificando una convezione umida. «Questi vortici ciclonici potrebbero essere come delle ciminiere, contribuendo a rilasciare energia interna attraverso la convezione», spiega. «Non succede dappertutto, ma qualcosa in questi cicloni sembra facilitare la convezione». La capacità di correlare i fulmini con le nubi d’acqua profonde offre ai ricercatori un altro strumento per stimare la quantità di acqua presente nell’atmosfera di Giove, fondamentale per capire come si sono formati Giove e gli altri giganti gassosi e ghiacciati del Sistema solare, e come si è formato il Sistema solare stesso.
Sebbene le precedenti missioni spaziali abbiano raccolto molte informazioni su Giove, parecchi dettagli importanti – tra cui la quantità di acqua nella parte più profonda dell’atmosfera, come il calore fluisce dall’interno e cosa provoca determinati colori e pattern nelle nubi visibili sulla superficie del pianeta – rimane un mistero. Combinando i dati dei tre strumenti, i ricercatori sono stati in grado di ottenere informazioni sulla dinamica e sulla struttura tridimensionale dell’atmosfera.
Grazie alle osservazioni di Hubble e Gemini, in concomitanza a quelle di Juno, gli scienziati sono anche in grado di studiare i cambiamenti a breve termine del gigante gassoso, come ad esempio quelli che avvengono nella Grande Macchia Rossa. Le immagini di Juno e le precedenti missioni su Giove avevano rivelato caratteristiche zone scure all’interno della Grande Macchia Rossa che appaiono, scompaiono e cambiano forma nel tempo. Dalle singole immagini non era chiaro se queste fossero causate da un misterioso materiale di colore scuro all’interno dello strato di nubi o se fossero invece buchi nelle nubi stesse, come finestre che si affacciano su uno strato più profondo e più scuro, al di sotto.
Ora, con la possibilità di confrontare le immagini nel visibile di Hubble con le immagini a infrarossi di Gemini, catturate a poche ore l’una dall’altra, è possibile rispondere a questa domanda. In particolare, le regioni che sono scure alla luce visibile sono molto luminose nell’infrarosso, indicando come in realtà siano di fatto buchi nelle nubi. In queste regioni, non coperte dalle nubi, il calore proveniente dall’interno di Giove emesso sotto forma di luce infrarossa – e bloccato dalle nubi degli strati più alti – è libero di fuggire nello spazio e appare luminoso nelle immagini di Gemini. «È un po’ come se stessimo guardando una zucca di Halloween», scherza Wong. «Ciò che riusciamo a vedere è la luce infrarossa [ndr, quella della candela, nel caso della zucca] che proviene dalle zone libere dalle nubi, ma dove ci sono le nubi [ndr, le pareti della zucca], nell’infrarosso è tutto buio».
L’osservazione regolare di Giove da parte di Hubble e Gemini a sostegno della missione Juno si sta dimostrando preziosa anche negli studi di molti altri fenomeni meteorologici, compresi i cambiamenti nei modelli del vento, le caratteristiche delle onde atmosferiche e la circolazione di vari gas nell’atmosfera. Hubble e Gemini possono monitorare il pianeta nel suo insieme, fornendo mappe di base in tempo reale e a più lunghezze d’onda, che possono essere usate come riferimento per le misure di Juno, nello stesso modo in cui i satelliti meteorologici che osservano la Terra forniscono un quadro di contesto per i cacciatori di uragani ad alta quota del Noaa. «Poiché ora abbiamo abitualmente queste viste ad alta risoluzione da un paio di diversi osservatori e a diverse lunghezze d’onda, stiamo imparando molto sul tempo atmosferico di Giove», spiega Simon. «Sarebbe l’equivalente di un satellite meteorologico, che ci permette finalmente di iniziare a osservare i cicli meteorologici».
Poiché le osservazioni di Hubble e Gemini sono veramente molto importanti per l’interpretazione dei dati di Juno, Wong e i suoi colleghi Simon e de Pater stanno rendendo facilmente accessibili ad altri ricercatori tutti i dati elaborati, attraverso l’Archivio Mikulski per i telescopi spaziali (Mast) presso lo Space Telescope Science Institute a Baltimora, nel Maryland. «La cosa importante è che siamo riusciti a raccogliere questo enorme set di dati a supporto della missione Juno. Le possibili applicazioni di questi dati sono così numerose che abbiamo deciso di consentire ad altre persone di fare scienza con questi dati senza il vincolo di dover capire da soli come elaborarli», conclude Wong.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Supplement Series l’articolo “High-resolution UV/Optical/IR Imaging of Jupiter in 2016–2019”, di Michael H. Wong, Amy A. Simon, Joshua W. Tollefson, Imke de Pater, Megan N. Barnett, Andrew I. Hsu, Andrew W. Stephens, Glenn S. Orton, Scott W. Fleming, Charles Goullaud, William Januszewski, Anthony Roman, Gordon L. Bjoraker, Sushil K. Atreya, Alberto Adriani e Leigh N. Fletcher