Parliamoci chiaro. Vogliamo davvero scoprire qualcosa in più riguardo al nucleo del Pianeta rosso? Allora cerchiamo di essere concreti, estremamente concreti: Marte si trova, mentre scriviamo, a circa 170 milioni di chilometri da noi (55 milioni di chilometri nella migliore delle circostanze, 400 milioni nella peggiore, a seconda di dove si trova rispetto alla Terra e al Sole). E sulla sua superficie è attualmente operativa una stazione sismografica ospitata dalla sonda InSight della Nasa. «Tuttavia, ci manca un’importante informazione senza la quale i dati raccolti non possono essere interpretati correttamente. Avremmo perlomeno bisogno di conoscere le proprietà sismiche della lega di ferro e zolfo che si pensa costituisca il nucleo del pianeta». A parlare è Keisuke Nishida, docente all’Università di Tokyo presso il dipartimento di scienze planetarie e della terra. Una persona con i piedi per terra: sa quanto l’esplorazione spaziale sia difficile, costosa e pericolosa. Prima di spedire sonde spaziali e sognare di camminare un giorno sulla terra rossa di Marte, dunque, meglio investire in simulazioni: le simulazioni in laboratorio con cui Nishida, e il team di ricercatori giapponesi con cui collabora, hanno testato le proprietà sismiche del nucleo marziano, per come gli scienziati suggeriscono sia composto.
Lo studio è pubblicato su Nature Communications. I risultati dell’esperimento andranno confrontati con i dati raccolti dalle future missioni robotiche di esplorazione su Marte. Solo allora la scienza potrà avanzare conclusioni sulle ipotesi di un nucleo formato da leghe di ferro e zolfo. O ripartire daccapo, rimettendo in discussione la storia dell’origine del quarto pianeta.
È lontano il tempo glorioso del gerarca Barbagli, tragicomico personaggio creato dalla fantasia di Corrado Guzzanti: più non si parte incuranti del pericolo alla conquista del «rosso pianeta bolscevico e traditor». Per andare «dritti al cuor della marziana» serve tecnologia.
Per misurare la velocità di propagazione delle onde P (che insieme alle onde S costituiscono le due tipologie di onda sismica) nelle leghe di ferro-zolfo fuse, il team giapponese ha dovuto lavorare più di tre anni. «Ma siamo riusciti a raccogliere i dati ultrasonici di cui avevamo bisogno», spiegano i ricercatori.
«Il campione su cui abbiamo lavorato è estremamente piccolo», chiarisce Nishida. «Forse la cosa vi sorprenderà viste le dimensioni del pianeta cui applichiamo le nostre simulazioni. Lavorare ad altissime pressioni su scale micro, però, ci aiuta a comprendere strutture macro e a ricostruire la storia evolutiva di un pianeta su tempi geologici».
Un’onda P raggiunge velocità di propagazione di quasi 5 chilometri al secondo (4680 m/s per essere precisi) in una lega di ferro-zolfo alla temperatura di 1500 gradi Celsius (poco sopra il punto di fusione) e sottoposta alla pressione di 13 gigapascal. Siamo a oltre 13 volte la velocità del suono nell’aria. Per ricreare queste condizioni limite in laboratorio è stata impiegata una pressa di tipo Kawai, combinata a un fascio di raggi X proveniente da due strumenti del sincrotrone, Kek-Pf e Spring-8.
«L’esplorazione delle viscere della Terra, di Marte e di altri pianeti è una delle grandi frontiere della scienza», sottolinea Nishida. «È una sfida intrigante, un po’ per gli ordini di grandezza con cui dobbiamo fare i conti, ma anche per il modo in cui affrontiamo il problema, inchiodati alla superficie terrestre». Per saperne qualcosa del nucleo terrestre abbiamo impiegato più di un secolo e potendo fare affidamento su una rete di strumenti distribuita sull’intera superficie del pianeta.
Il nucleo terrestre resta inaccessibile. E così quello marziano. Questa è la ragione per cui i dati sismografici sono tanto importanti: perché le onde sismiche sono le uniche in grado di attraversare un pianeta e aprire una finestra sul nucleo.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “Effect of sulfur on sound velocity of liquid iron under Martian core conditions”, di Keisuke Nishida, Yuki Shibazaki, Hidenori Terasaki, Yuji Higo, Akio Suzuki, Nobumasa Funamori e Kei Hirose