Acquistereste un telescopio inamovibile, che non si può orientare? Peggio ancora: un telescopio che punta sempre e soltanto verso la stessa, minuscola, porzione di universo? Presentato così non sembra un grande affare. In realtà il “telescopio”, o meglio, i telescopi di cui parliamo presentano una serie di caratteristiche tali da renderli alquanto ambiti dagli astronomi. Sono infatti telescopi “costruiti” dalla natura stessa – dunque a costo zero – e incomparabilmente più potenti di qualunque telescopio realizzato da noi umani. Telescopi letteralmente in grado di piegare la luce. Stiamo parlando delle lenti gravitazionali: concentrati di materia – perlopiù oscura, fino a centinaia di miliardi di masse solari – frapposti tra noi e i remoti oggetti che vogliamo osservare. Remoti oggetti la cui luce, come previsto dalla relatività generale di Einstein, nel suo tragitto verso di noi viene concentrata – e dunque “ingrandita” – dalla curvatura imposta dalla lente stessa sullo spazio-tempo attraversato.
Il problema delle lenti gravitazionali, come dicevamo, è che non si muovono: dove puntano puntano, di conseguenza l’unico oggetto che permettono di osservare è quello che sta alle loro spalle. In compenso ne esistono molte, dunque sono molti anche gli oggetti che con esse si possono studiare. L’ideale sarebbe averne moltissime. Ma come trovarle?
Un compito tutt’altro che semplice: occorre riuscire a riconoscere la “firma” della deflessione della luce sulle sorgenti in secondo piano. In altre parole, per trovare le lenti gravitazionali si devono cercare gli oggetti da esse distorti e amplificati. Attività tediosa per gli astronomi ma perfetta per un supercomputer equipaggiato di un rete neurale addestrata a riconoscere forme particolari.
Ed proprio ciò che ha fatto un team di astrofisici guidato da Xiaosheng Huang della University of San Francisco: hanno addestrato una rete neurale artificiale a riconoscere le lenti gravitazionali.
Dopo averla installata sul supercomputer Cori del Lawrence Berkeley National Laboratory (Berkeley Lab), le hanno dato in pasto le immagini di 423 lenti gravitazionali e di 9451 oggetti che invece lenti non erano. E hanno lasciato che il cervello di silicio di Cori si esercitasse a distinguerle. «Ci vogliono ore per addestrare la rete neurale», spiega Huang. «Esiste un modello di adattamento molto sofisticato di “Che cos’è una lente?” e “Che cosa non è una lente?”.
Alla fine, quando la rete neurale sembrava pronta, l’hanno sguinzagliata sui dati della Desi Decam Legacy Survey – una survey propedeutica al progetto Desi, il Dark Energy Spectroscopic Instrument. E qualcosa è rimasto impigliato nella rete: 335 nuove candidate lenti gravitazionali forti, fino a oggi sconosciute. «Trovare questi oggetti è come trovare telescopi delle dimensioni di una galassia», dice David Schlegel del Berkeley Lab, coautore dello studio. «Sono potenti strumenti per lo studio della materia oscura e dell’energia oscura».
Ora si tratta di verificare – e questa volta il compito spetta a reti di neuroni umani – quali di queste candidate siano effettivamente lenti e quali no. E l’analisi preliminare dice che almeno 60 hanno ottime probabilità di esserlo.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Finding Strong Gravitational Lenses in the DESI DECam Legacy Survey”, di X. Huang, M. Domingo, A. Pilon, V. Ravi, C. Storfer, D.J. Schlegel, S. Bailey, A. Dey, D. Herrera, S. Juneau, M. Landriau, D. Lang, A. Meisner, J. Moustakas, A.D. Myers, E.F. Schlafly, F. Valdes, B.A. Weaver, J. Yang e C. Yeche