L’universo è un posto molto vasto, è più grande di ogni cosa che chiunque abbia mai immaginato finora. Se ci fossimo solo noi, sarebbe uno spreco di spazio… giusto? [Citazione dal film Contact, 1997]
Fin dall’antichità, gli uomini si chiedono se siamo soli nell’universo. Da evidenze geologiche, sappiamo che la vita sulla Terra è iniziata piuttosto presto, non appena l’ambiente del nostro pianeta è stato abbastanza stabile da sostenerla. Sappiamo anche che il primo organismo pluricellulare, che alla fine si è evoluto fino a generare la civiltà tecnologica di oggi, ha impiegato molto più tempo per evolversi, circa 4 miliardi di anni. Ma nonostante gli scienziati sappiano quando la vita è apparsa per la prima volta sulla Terra, non hanno ancora capito da cosa abbia avuto inizio, e questo ha importanti implicazioni sulla valutazione della probabilità di trovarla altrove, nell’universo.
In un nuovo articolo pubblicato nei Proceeding of the National Academy of Sciences, David Kipping, del Dipartimento di Astronomia della Columbia University, mostra come un’analisi che sfrutta una tecnica statistica chiamata inferenza bayesiana potrebbe far luce sul modo in cui una forma di vita extraterrestre complessa potrebbe evolversi in mondi alieni. «La rapida comparsa della vita e la tarda evoluzione dell’umanità, nel contesto della linea temporale dell’evoluzione, sono indubbiamente suggestive», dice Kipping. «Ma in questo studio è possibile quantificare concretamente ciò che ci dicono i fatti».
Per condurre la sua analisi, Kipping è partito dalla cronologia delle prime evidenze della vita sulla Terra e dell’evoluzione dell’umanità. Poi si è chiesto: se riportassimo indietro l’orologio cosmico, e se la storia della Terra si ripetesse, quanto spesso potremmo aspettarci che la vita e l’intelligenza che caratterizza il genere umano riemergerebbero? Le possibili risposte che si è dato – chiamiamole ipotesi – sono quattro: la vita è comune e spesso sviluppa intelligenza, la vita è rara ma spesso sviluppa intelligenza, la vita è comune e raramente sviluppa intelligenza e, infine, la vita è rara e raramente sviluppa intelligenza.
Per capire quale delle ipotesi fosse la più probabile, ha usato l’inferenza statistica bayesana, chiamata così perché fa uso del teorema di Bayes, un teorema che viene impiegato per calcolare la probabilità che una certa causa abbia scatenato l’evento verificato: in questo caso, la vita intelligente. Il metodo di inferenza statistica bayesiana – usato per aggiornare la probabilità di un’ipotesi quando sono disponibili nuove prove o informazioni – considera ipotesi differenti che riguardano il sistema che viene modellato, che vengono poi combinate con i dati per valutare la probabilità di ottenere un certo risultato. «La tecnica è simile al calcolo della probabilità in una scommessa», ha detto Kipping. «Incoraggia il test ripetuto di una nuova prova contro la vostra posizione; in sostanza si tratta di un ciclo a feedback positivo per raffinare le vostre stime di probabilità di un evento».
Partendo dalle quattro ipotesi formulate, Kipping ha usato le formule matematiche bayesiane per ponderare i quattro modelli, l’uno contro l’altro. «Nell’inferenza bayesiana, le distribuzioni di probabilità a priori devono sempre essere selezionate», spiega Kipping. «Ma un risultato chiave è che quando si confrontano gli scenari che contemplano la vita come evento raro con quelli di vita come evento comune, questi ultimi sono sempre almeno nove volte più probabili di quelli in cui la vita è rara».
L’analisi si basa sul fatto che la vita si è sviluppata entro 300 milioni di anni dalla formazione degli oceani terrestri, come è evidente dai depositi di zirconi impoveriti di carbonio-13: un inizio molto rapido, quindi, nel contesto della vita sulla Terra. Kipping sottolinea che il rapporto è almeno di 9 a 1, o superiore, a seconda di quanto spesso si sviluppi l’intelligenza.
La conclusione di Kipping è che se i pianeti con condizioni e linee temporali evolutive simili a quelle che caratterizzano la Terra sono comuni, allora l’analisi suggerisce che la vita non dovrebbe avere problemi a presentarsi spontaneamente, anche su altri pianeti. E quali sono le probabilità che queste vite extraterrestri possano essere complesse, differenziate e intelligenti? Qui l’indagine di Kipping è meno sicura, trovando solo un rapporto di 3 a 2 nella probabilità a favore della vita intelligente. Questo risultato deriva dal fatto che l’umanità è comparsa piuttosto tardi nella finestra abitabile della Terra, suggerendo che il suo sviluppo non è stato né un processo facile né garantito. Tornando alla primissima domanda, «se giocassimo nuovamente alla storia della Terra, l’emergere dell’intelligenza sembra essere in realtà un po’ improbabile», sostiene Kipping.
Kipping sottolinea che le probabilità, trovate nello studio, che su altri pianeti si siano evolute forme di vita intelligente non sono schiaccianti, essendo abbastanza vicine al 50 e 50, e che i risultati dovrebbero essere trattati come nient’altro che una leggera spinta verso un’ipotesi piuttosto che un’altra. «L’analisi non può fornire certezze o garanzie, solo probabilità statistiche basate su ciò che è accaduto qui sulla Terra», sottolinea Kipping. Tuttavia, aggiunge lo studioso, «è incoraggiante come l’eventualità di un universo brulicante di vita sembri essere la scommessa favorita. La ricerca di vita intelligente nei mondi oltre la Terra non dovrebbe assolutamente essere scoraggiata».
Per saperne di più:
- Leggi su Proceeding of the National Academy of Sciences l’articolo “An objective Bayesian analysis of life’s early start and our late arrival” di David Kipping