Mentre era impegnato nelle osservazioni del rientro incontrollato del razzo cinese 5B Long March, avvenuto lo scorso 11 maggio, il radar italiano Birales – formato dalla coppia di antenne Croce del Nord di Medicina (BO) e il trasmettitore Trf (trasmettitore radio frequenza) dell’Aeronautica militare al Poligono interforze Salto di Quirra (Pisq) – è stato coinvolto in una nuova sfida: individuare i frammenti del serbatoio dello stadio superiore del razzo russo Fregat-Sb. Lanciato nel 2011, il serbatoio era infatti ancora in orbita terrestre: è andato in frantumi solo lo scorso 8 maggio, tra le 6 e le 8 del mattino (ora italiana), mentre sorvolava l’Oceano Indiano, formando decine di nuovi detriti spaziali. La causa non è ancora nota, ma sembra che si sia trattato di un’esplosione improvvisa, in quanto non risultano esserci state collisioni con un altro oggetto orbitante attorno alla Terra.
Subito dopo la conferma dell’evento da parte dell’agenzia spaziale russa Roscosmos, alcuni radar e telescopi sparsi per il globo, compresi quelli del consorzio europeo di sorveglianza spaziale e tracciamento EuSst, si sono attivati per cercare di monitorare la nube di frammenti, formata – secondo le prime osservazioni americane del 18° Space Control Squadron – da circa 65 pezzi. All’interno del consorzio EuSst – in cui l’Italia è rappresentata dall’Agenzia spaziale italiana, Inaf e ministero della Difesa – la responsabilità dello studio degli eventi di frammentazione in orbita (fragmentation) è proprio dell’Italia. I sensori europei che hanno contribuito fattivamente al tracciamento del fu serbatoio del Fregat-Sb sono stati due: il radar Birales, appunto, e il telescopio ottico polacco Pst2 dell’Università Adam Mickiewicz e situato in Arizona (Usa).
Le osservazioni di Birales si sono svolte dall’11 al 22 maggio, con il radiotelescopio Croce del Nord – di proprietà dell’Università di Bologna e gestito dall’Istituto di radioastronomia dell’Inaf – sintonizzato a 410,85 MHz, e in tutti i giorni della campagna osservativa sono stati rilevati oggetti riconducibili a frammenti del serbatoio esploso.
Un’impresa non da poco, per numerosi motivi. Anzitutto, non bisogna assimilare un’esplosione spaziale a un evento ben localizzato. Il primo problema da affrontare è dunque come programmare le osservazioni (dove e quando puntare le antenne). Per fare questo bisogna sapere dove sono i frammenti e dove stanno andando, ma l’unico dato a disposizione è l’orbita originaria del serbatoio, in quanto le orbite dei singoli frammenti non sono ancora state determinate. Il che si traduce in un problema di meccanica orbitale piuttosto complesso. La nube è infatti composta da una moltitudine di pezzi di dimensioni ridotte. Pezzi che, dopo l’esplosione, non restano confinati in una zona continuando a orbitare come un unicum, anzi: la loro densità spaziale cambia nel tempo, in particolare i frammenti si sparpagliano a seconda della loro dimensione. Chi è più veloce, chi è più lento. I modelli di frammentazione predicono che essi tendano a distribuirsi in una sorta di fascia lungo e attorno all’orbita pre-esplosione, rimanendovi per qualche giorno finché le perturbazioni orbitali non li faranno disperdere ancora di più.
La strategia osservativa messa in atto è spiegata da Pierluigi Di Lizia, docente di meccanica aerospaziale del Politecnico di Milano, l’ente che, in collaborazione con l’Asi e l’Italian Space Surveillance and Tracking Operation Center (Isoc), gestito dal Ministero della Difesa, svolge le analisi di meccanica orbitale. «Abbiamo deciso di concentrarci vicino all’orbita originaria del serbatoio», dice Di Lizia, «per vedere se riuscivamo a ricevere echi radio da oggetti che avevano modificato di poco la loro orbita dopo l’esplosione – statisticamente significa cercare i frammenti più grandi, secondo i modelli di frammentazione standard – e che, in qualche modo, potessero quindi essere riconducibili al serbatoio in questione».
Ma anche puntando nella direzione giusta, non è detto che Birales avrebbe rilevato echi radio dai frammenti del Fregat, perché l’orbita originaria del serbatoio non era favorevole alle osservazioni. Essa si spingeva a una minima distanza dalla Terra di 422 km (perigeo) e ad una massima quasi dieci volte superiore (apogeo di 3600 km). Questi numeri conferiscono una forma molto ellittica all’orbita, facendo sì che i frammenti siano spesso troppo lontani per essere a tiro di radar.
I frammenti infatti, non brillano di luce propria: devono essere illuminati. Compito che in questo caso spetta alle onde radio trasmesse dal Trf. Onde che vengono a loro volta riflesse a terra dai frammenti stessi, per essere infine eventualmente ricevute dalla Croce del Nord. Durante questo viaggio di andata e ritorno, le onde radio perdono tanta più potenza quanto più è grande la distanza. Ma Birales è comunque riuscito a rilevare echi radio da oggetti riconducibili ai frammenti del serbatoio Fregat-Sb, oltre che da oggetti estranei alla frammentazione che passavano nel campo visivo del radiotelescopio.
«Dai segnali eco-radar ricevuti abbiamo derivato velocità e distanza del corpo che li ha riflessi e calcolato una prima stima delle orbite», continua Di Lizia. «Abbiamo visto che, mentre alcune sono compatibili con quelle di altri oggetti spaziali noti, altre non appartengono ad oggetti nel catalogo pubblico Norad della Nasa: si tratta quindi di oggetti “nuovi”. E andando a ritroso nel tempo i nostri calcoli mostrano che i parametri orbitali convergono verso quelli del serbatoio prima dell’esplosione. Siamo dunque confidenti che si tratti dei frammenti che stavamo cercando».
L’Isoc ha quindi emesso un report d’allerta europeo, e le misure basate sui dati di Birales sono state inserite nel database europeo. «Una soddisfazione incredibile», dice Germano Bianchi, responsabile all’Inaf-Ira del progetto EuSst, «perché siamo stati gli unici in Europa, in campo radio, a riuscire a rilevare questi frammenti, determinandone addirittura l’orbita. Le informazioni trasmesse a livello internazionale possono essere sfruttate da altri sensori per continuare a monitorare e seguire i frammenti. Ottenere risultati così belli, dopo tanto impegno e lavoro, fa bene al morale di tutto il gruppo».
«A tal proposito, non mi stancherò mai di sottolineare la bravura dei colleghi che stanno lavorando in questo progetto, dai tecnologi, ricercatori, tecnici e anche l’amministrazione, per le procedure svolte che hanno permesso la realizzazione degli upgrade strumentali e infrastrutturali della Croce del Nord», ricorda Bianchi, mentre Luca Salotti dell’Asi, rappresentante italiano presso il consorzio EuSst, sottolinea «il ruolo crescente delle iniziative europee nell’ambito della misurazione dei detriti spaziali e dei servizi di allerta volti alla mitigazioni dei relativi danni potenziali».
Ma perché il serbatoio Fregat-Sb dovrebbe essere esploso di punto in bianco? Lo scenario più plausibile è che contenesse del propellente residuo e che questo abbia provocato l’esplosione. Tra l’altro, lo stesso serbatoio è stato soggetto di una prima esplosione nel 2016. Non si tratta di eventi rari: dall’inizio dell’era spaziale si sono verificati più di 500 episodi di frammentazione in orbita, e tra questi rientrano le esplosioni.
Questi eventi lasciando dietro di sé una scia di nuovi detriti vanno purtroppo ad accrescere la già sostanziosa spazzatura spaziale in orbita attorno il nostro pianeta: quasi 9000 tonnellate a febbraio 2020, secondo i dati dell’Esa. La “passivazione” di un satellite al termine della sua vita operativa – ovvero lo smaltimento completo del propellente residuo – è una delle raccomandazioni all’interno delle linee guida internazionali per la riduzione dei detriti spaziali, in particolare per la prevenzione di esplosioni post-missione in orbita.
Video della simulazione della frammentazione di un satellite:
Integrazione del 26.05.2020: è stato aggiunto un virgolettato del rappresentante italiano presso il consorzio EuSst