L’universo è mediamente poco denso – circa 9.9 x 10-27 chilogrammi per metro cubo; l’aria, per fare un confronto, è poco più di un kg/m³ – e tendenzialmente “non collisionale” (dunque a basso rischio di “impatti”), poiché tali sono le caratteristiche della sua componente principale, la materia oscura fredda. Non solo l’universo nella sua totalità, ma anche molteplici strutture al suo interno si mantengono con le stesse caratteristiche, soprattutto in fatto di collisionalità. Le stelle all’interno di una galassia ne sono un esempio, così come le galassie all’interno di un ammasso. Questo significa che la probabilità che avvengano incontri o scontri fra le componenti di questi sistemi – stelle o galassie che siano – è trascurabile rispetto al tempo di vita del sistema stesso.
Parlando di galassie, tuttavia, esistono alcuni luoghi affollati e meno ordinati, come i gruppi di galassie, nei quali le collisioni – i cosiddetti merging – sono più frequenti. Sono questi gli ambienti giusti in cui andare alla ricerca dei più spettacolari incidenti fra galassie. Una tipologia peculiare e ancora più rara di galassie interagenti sono le cosiddette “galassie ad anello collisionale”: si tratta del risultato di collisioni frontali fra una galassia compatta e una galassia a disco più estesa. La perturbazione gravitazionale generata dallo scontro induce la formazione di anelli nel disco della galassia più grande, tramite il propagarsi di onde di densità radiali causate dall’assembramento delle stelle nel disco, la cui espansione catalizza la formazione massiva di nuove stelle.
Nell’universo locale, quello vicino a noi, galassie di questo tipo costituiscono appena lo 0.01 per cento della popolazione osservata, e questa statistica dovrebbe essere ancor più sfavorevole nell’universo primitivo, quando le galassie a disco erano ancora in formazione.
E qui la sorpresa degli astronomi dell’Arc centre of Excellence for All Sky Astrophysics in 3 Dimensions (Astro 3D) che, catturando l’immagine una galassia con evidenti sembianze di un anello cosmico di fuoco, si sono trovati testimoni di un incidente cosmico avvenuto circa 11 miliardi di anni fa. La galassia incidentata, denominata R5519, ha una massa simile alla Via Lattea e presenta una conformazione circolare con un buco nel mezzo. La scoperta, pubblicata ieri nella rivista Nature Astronomy, lancia una nuova sfida alle teorie sull’epoca di formazione dei dischi nelle galassie e sulla loro evoluzione.
«È un oggetto davvero molto curioso, che non abbiamo mai osservato prima», dice la prima autrice, Tiantian Yuan, ricercatrice Astro 3D al Centre for Astrophysics and Supercomputing della Swiburne University of Technology, in Australia. «Sembra strana, ma al contempo familiare».
La cavità al centro di R5519 è molto estesa, con un diametro due miliardi di volte superiore alla distanza della Terra dal Sole. Per dirla in altri termini, è tre milioni di volte più grande del diametro del buco nero supermassiccio al centro della galassia Messier 87, il protagonista della “foto al buco nero” scattata dall’Event Horizon Telescope nel 2019.
«Sta formando stelle con un tasso cinquanta volte maggiore a quello della Via Lattea», continua Yuan. «E la maggior parte di questa attività ha luogo nell’anello – si tratta veramente di un disco di fuoco».
Yuan e collaboratori hanno usato i dati spettroscopici raccolti con i telescopi Keck alle Hawaii e immagini provenienti dal telescopio spaziale Hubble della Nasa, fondamentali per identificare questa struttura inusuale. I dati suggeriscono, appunto, che si tratti proprio di una “galassia ad anello collisionale”, rendendola il primo caso mai trovato nell’universo primordiale, e aprendo un nuovo canale nell’indagine sulla comparsa e lo sviluppo delle galassie a spirale.
«La formazione collisionale delle galassie ad anello richiede la presenza di un disco sottile nella “galassia vittima” prima che la collisione avvenga», spiega Ahmed Elagali, coautore dello studio e membro di Astro3D, dell’International centre for radio astronomy research, in Australia. «Il disco sottile è la componente caratterizzante delle galassie a spirale: prima che esso si assembli, le galassie si trovano in uno stato disordinato, e non sono riconoscibili come spirali».
Nel caso della galassia scoperta, stiamo guardando all’universo com’era appena tre miliardi di anni dopo il Big Bang, epoca nella quale i dischi sottili si stavano ancora formando. Se prendiamo la Via Lattea ad esempio, il disco cominciò ad assemblarsi solo nove miliardi di anni fa. La presenza di un disco in R5519 indica che la formazione di queste strutture nelle galassie a spirale avvenne in un periodo di tempo molto più esteso di quanto si pensasse.
Le implicazioni di questo incidente, però, non riguardano solo la struttura interna delle galassie coinvolte, ma impongono un’indagine sull’ambiente stesso nel quale esse si vengono a trovare, sollevando questioni riguardanti l’epoca di formazione di assembramenti di galassie sotto forma di gruppi e la loro evoluzione nel tempo. R5519 risiede infatti in un ambiente attivo con due galassie compagne, G5593 – la possibile candidata allo scontro, con una morfologia distorta e un doppio nucleo che suggeriscono che essa stessa abbia un processo di merging in corso – e G5475, il membro più lontano del gruppo. G5593 è inoltre simile a R5519 sia in termini di massa stellare sia di tasso di formazione stellare.
Il fatto che R5519 risieda in un gruppo è un ulteriore interessante elemento che depone a favore di uno scenario di formazione di tipo collisionale piuttosto che secolare. Vediamo meglio di che si tratta. Esistono due tipologie di galassie ad anello: il tipo più comune si forma a causa di processi interni, in una tipologia di galassie nota come spirali barrate e solitamente in ambienti isolati. Il tipo collisionale si forma invece – come suggerito dal nome e come accennato in precedenza – a seguito di violenti scontri con altre galassie in ambienti che favoriscono questo tipo di interazioni, proprio come il piccolo gruppo di cui R5519 fa parte. La categoria collisionale, infine, è circa mille volte più rara della tipologia che si forma per via di processi interni nell’universo locale, il che rende la scoperta nell’universo lontano ancora più singolare.
«Riuscire a determinare la densità numerica delle galassie ad anello nel corso delle epoche cosmiche», conclude Elagali, «può aiutare a porre dei vincoli sull’assemblaggio e l’evoluzione dei gruppi di galassie come quelli osservati nell’universo locale».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “A giant galaxy in the young Universe with a massive ring”, di Tiantian Yuan, Ahmed Elagali, Ivo Labbé, Glenn G. Kacprzak, Claudia del P. Lagos, Leo Y. Alcorn, Jonathan H. Cohn, Kim-Vy H. Tran, Karl Glazebrook, Brent A. Groves, Kenneth C. Freeman, Lee R. Spitler, Caroline M. S. Straatman, Deanne B. Fisher e Sarah M. Sweet