Osservazioni ravvicinate dell’asteroide Bennu, condotte tra il 21 marzo e il 26 luglio 2019 dalla sonda Osiris-Rex della Nasa, durante le campagne osservative Baseball Diamond e Orbital B, mostrano le prove di fratture termiche di alcune sue rocce, mai osservate prima su un corpo senza atmosfera. È quanto riporta un articolo pubblicato ieri da un team di scienziati guidati da Jamie Molaro del Planetary Science Institute di Tucson, in Arizona, su Nature Communications.
Le fratture termiche, o degradazione da stress termico, sono processi di alterazione fisico-meccanica delle rocce che si verificano per effetto di cicli ripetuti di dilatazione e contrazione dovuti a forti escursioni termiche giornaliere. Ampi sbalzi repentini come quelli che avvengono, ad esempio, su Bennu, l’asteroide Apollo scoperto nel 1999 e attualmente distante da noi oltre 242 milioni di km, dove la temperatura massima diurna può arrivare a circa 125 gradi Celsius sopra lo zero, per poi precipitare nella notte fino a circa 75 gradi Celsius sotto lo zero.
Questi stress termici provocano la formazione e la crescita di crepe che col tempo si ingrandiscono, favorendo la disintegrazione delle rocce e la formazione di piccoli frammenti. Nelle immagini che vedete qui accanto, acquisite tra i 0.92 e i 4.92 km sopra la superficie di Bennu dalla Ocams PolyCam a bordo della sonda, gli autori del nuovo studio hanno osservato proprio questo: crepe indotte da questo processo degradativo, noto anche col nome di termoclastismo.
«Questa è la prima volta che prove di fratture termiche vengono definitivamente osservate su un oggetto privo di atmosfera. Evidenze in-situ di rotture a carico di rocce sparse sulla superficie di Bennu che rappresentano un pezzo di un puzzle che ci dice com’era la sua superficie e come sarà tra milioni di anni», sottolinea Molaro. «Questo tipo di rottura indotta termicamente è nota da tempo sulla Terra, dove processi di erosione chimica contribuiscono a renderla più efficiente. La presenza di aria e umidità all’interno delle fessure ne rende più facile la crescita, e quindi questo effetto non può essere disaccoppiato da quello degli stessi stress termici. Abbiamo osservato prove di fratture termiche sulla Terra e su Marte, entrambi ambienti in cui l’alterazione chimica può giocare un ruolo. Su Bennu, tuttavia, mentre era teoricamente possibile che fratture termiche su un corpo senza atmosfera si verificassero da sole, non era chiaro se le sollecitazioni sarebbero state abbastanza forti da provocare una crescita delle crepe in assenza di degradazione chimica».
Queste osservazioni della morfologia delle rocce su Bennu provano ora che vi sia crescita delle crepe indotta da stress termico. Una crescita che porta alla disintegrazione delle rocce attraverso il fenomeno dell’esfoliazione, un particolare effetto del termoclastismo che provoca il distacco delle parti più superficiali in forma di foglietti e scaglie lungo piani che sono paralleli alla superficie.
«I massi su Bennu mostrano molti possibili segni di frattura termica, ma il più chiaro è nelle immagini che mostrano l’esfoliazione, in cui sottili strati di materiale si sfaldano dalle superfici del masso» aggiunge lo scienziato. «Questi risultati forniscono prove sostanziali e convincenti di come la frattura termica svolga un ruolo importante sulle superfici di corpi senza atmosfera, il che ha importanti implicazioni per la comprensione dell’evoluzione delle superfici, delle orbite e delle popolazioni di asteroidi».
Riguardo a quello che questi processi degradativi comportano riguardo all’evoluzione dell’asteroide, Molaro conclude che «come ogni processo di erosione, la frattura termica può causare nel tempo l’evoluzione di massi e superfici planetarie: dal cambiamento della forma e delle dimensioni dei singoli massi, alla produzione di ciottoli o regolite a grana fine, alla demolizione delle pareti interne di crateri. La rapidità con cui ciò si verifica rispetto ad altri processi di erosione ci dice quanto velocemente sia cambiata la superficie. Non abbiamo ancora dati sufficienti sui tassi di rottura dovuti a stress termico, ma possiamo ottenerli ora che possiamo effettivamente osservarne le evidenze per la prima volta in-situ».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Communications l’articolo “In situ evidence of thermally induced rock breakdown widespread on Bennu’s surface” di J. L. Molaro, K. J. Walsh, E. R. Jawin, R.-L. Ballouz, C. A. Bennett, D. N. DellaGiustina, D. R. Golish, C. Drouet d’Aubigny, B. Rizk, S. R. Schwartz, R. D. Hanna, S. J. Martel, M. Pajola, H. Campins, A. J. Ryan, W. F. Bottke e D. S. Lauretta