Si fa presto a dire buco nero. In apparenza sembra l’oggetto più semplice da descrivere che si possa immaginare. Un buco. Poi vai a guardare meglio e saltano fuori complicazioni di ogni genere, e non a caso è proprio sui buchi neri che l’incompatibilità fra relatività generale e meccanica quantistica emerge con tutte le sue contraddizioni. Un’incompatibilità matematica che si riverbera a più livelli con effetti paradossali. Sull’informazione che un buco nero può trattenere, per esempio. Secondo la relatività generale è pari a zero. Secondo i modelli basati sulla fisica quantistica di Jacob Bekenstein e Stephen Hawking, al contrario, i buchi neri sarebbero caratterizzati da un’enorme entropia, e conterrebbero moltissima informazione al loro interno.
Come a volte accade con problemi a prima vista senza soluzione, una via d’uscita potrebbe presentarsi adottando un modo nuovo di descrivere ciò che si tenta di comprendere. È ciò che hanno fatto due fisici teorici della Sissa di Trieste – Francesco Benini e Paolo Milan – con il loro ultimo articolo, pubblicato il mese scorso su Physical Review X. Il nuovo modo per descrivere i buchi neri da loro adottato, in realtà, nuovissimo non è, ma ancora è lontano dall’aver esaurito la sua carica rivoluzionaria: è il cosiddetto “principio olografico”.
Il nome fa subito pensare all’holodeck di Star Trek, o più semplicemente ai piccoli riquadri anticontraffazione presenti su alcune carte di credito. Invece il ricorso agli ologrammi di Benini e Milan è anzitutto un escamotage estremamente produttivo che consente di sbarazzarsi con eleganza del principale responsabile dell’incompatibilità fra relatività generale e meccanica quantistica: la gravità – perlomeno, quella intesa in senso classico.
«Un ologramma è una superficie bidimensionale che riproduce un’immagine tridimensionale. Da qui prende il nome il principio olografico», spiega Benini a Media Inaf, «ovvero un modo controintuitivo ma estremamente potente di descrivere la gravità quantistica. Si tratta ovviamente solo di un’analogia. Secondo il principio olografico, il comportamento quantistico della gravità in una regione di spazio tridimensionale può essere alternativamente descritto in termini di un diverso sistema fisico, che vive lungo il bordo di quella regione (dunque bidimensionale), e che non contiene esplicitamente la gravità (evitando così contrasti con la meccanica quantistica). Tutto quello che succede all’interno di quella regione di spazio, incluso il comportamento dei buchi neri, ha una descrizione alternativa in termini di qualcosa che succede lungo la superficie al bordo. La descrizione alternativa è sì controintuitiva, tuttavia permette di effettuare calcoli espliciti molto precisi, e questo la rende un prezioso strumento teorico».
Uno strumento teorico talmente prezioso che il suo campo d’applicazione non si limita ai buchi neri – e già sarebbe più che sufficiente – ma può aiutare a comprendere e prevedere il comportamento anche di altri oggetti e fenomeni astrofisici estremi.
«Il principio olografico, su cui è basato il nostro approccio, caratterizza in modo generale il comportamento della forza di gravità», osserva infatti Milan, «e, perciò, include tutti i fenomeni, classici (come pianeti, stelle, galassie, eccetera) e quantistici (come i buchi neri) a essa legati. Ciononostante, il punto di forza di questo metodo riguarda principalmente quei fenomeni gravitazionali che, proprio come i buchi neri, sono profondamente influenzati dagli effetti quantistici della gravità, e pertanto non possono essere studiati con metodi “tradizionali”, basati sulla gravità classica. In tal caso la descrizione olografica diventa determinante nel semplificare il problema e renderlo accessibile all’utilizzo di tecniche di risoluzione moderne. Per esempio, nel caso delle stelle di neutroni esistono diversi studi (i primi dei quali risalenti a una decina di anni fa) che, basandosi sull’approccio olografico, riproducono con successo alcune proprietà di tali oggetti, come l’instabilità gravitazionale che genera il collasso verso un buco nero».
La speranza dei due fisici è che i futuri telescopi e interferometri per onde gravitazionali possano consentire di mettere alla prova la loro teoria.
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review X l’articolo “Black Holes in 4D N=4 Super-Yang-Mills Field Theory”, di Francesco Benini e Paolo Milan