Misurare la distanza del Sole dalle altre stelle è sempre stato un problema delicato da affrontare per gli astronomi. Solo nel 1838, usando il metodo geometrico della parallasse trigonometrica, l’astronomo tedesco Friedrich Bessel riuscì a misurare la distanza della stella doppia 61 Cygni dal Sole.
Dai tempi di Bessel sono stati fatti notevoli passi avanti nella misura delle distanze stellari, fino ad arrivare – oggi – al catalogo stellare della missione spaziale Gaia dell’Esa, contenente la parallasse di circa 1.3 miliardi di stelle: un numero impressionante in termini assoluti, ma ancora basso se si pensa che la Galassia ha una popolazione stimata di circa 300 miliardi di stelle.
I progressi sono notevoli se si guarda al numero di stelle di cui si conosce la distanza dal Sole, ma il principio alla base della parallasse trigonometrica è sempre lo stesso: si tratta di misurare il piccolo angolo di cui si spostano in cielo le stelle vicine – rispetto a quelle di sfondo molto più distanti – per effetto del moto orbitale della Terra attorno al Sole.
Lo stesso principio lo possiamo applicare nella vita di tutti i giorni per avere una stima qualitativa delle distanze. Camminando per qualche centinaio di metri in linea retta, ci si accorge subito che gli oggetti vicini cambiano di posizione molto rapidamente rispetto a quelli distanti sullo sfondo, e più ci si sposta, più il cambiamento prospettico diventa evidente. Nonostante il diametro dell’orbita terrestre abbia un valore di circa 300 milioni di chilometri, le stelle – anche le più vicine – sono talmente distanti che si spostano in cielo di angoli molto piccoli, tutti inferiori al secondo d’arco. Tanto per dare un’idea della difficoltà della misura, un secondo d’arco è l’angolo sotteso da una moneta di 1 euro posta a 5.3 chilometri di distanza.
Ora è chiaro perché la misura della parallasse trigonometrica sia una faccenda delicata: gli angoli da misurare sono piccolissimi e più la stella è distante, maggiore è la difficoltà nel determinare quanto disti dal Sole. Oltre un certo valore di distanza, gli angoli di parallasse non sono più misurabili.
Per fortuna esistono anche metodi indiretti per determinare la distanza di una stella o di un gruppo di stelle (come ammassi stellari e galassie), ma tutti sono calibrati usando le misure dirette fatte sulle stelle vicine.
Chiaramente i limiti della parallasse trigonometrica dipendono dal fatto che siamo vincolati a usare come base il diametro dell’orbita terrestre. Però se ci allontanassimo dalla Terra di miliardi di chilometri, la base da cui traguardare gli spostamenti delle stelle vicine diventerebbe molto più grande, di conseguenza l’angolo di parallasse sarebbe più facile da misurare.
Ed è quello che ha fatto il team della sonda New Horizons della Nasa, approfittando del fatto che la sonda è ben oltre l’orbita di Plutone e sta uscendo velocemente dal Sistema solare. Degli importanti risultati scientifici ottenuti da questa sonda abbiamo parlato tante volte: nel luglio 2015 ha esplorato – per la prima volta nella storia – il sistema doppio Plutone-Caronte e – all’inizio del 2019 – ha fatto il flyby con Arrokoth, un piccolo asteroide perso nella Fascia di Kuiper ai confini del Sistema solare.
Il 22-23 aprile scorso – alla distanza di circa 7 miliardi di km dalla Terra – la New Horizons ha ripreso i campi stellari contenenti due stelle prossime al Sole: Proxima Centauri e Wolf 359. Proxima è una nana rossa a soli 4.23 anni luce: è la stella più vicina a noi, ma è talmente debole da essere invisibile a occhio nudo. Dalle ultime scoperte risulta che attorno a Proxima orbitano due pianeti, Proxima b e Proxima c. Il primo pianeta è una super terra che orbita nella zona abitabile della stella, mentre il secondo è più distante. Wolf 359 è una debole nana rossa invisibile a occhio nudo distante 7.8 anni luce dalla Terra. Si tratta di una stella con 1/1000 della luminosità solare attorno a cui non sono stati scoperti pianeti.
Le immagini riprese dal telescopio della sonda New Horizons (che ha un campo di vista di 17 x 17 primi d’arco e una risoluzione di 4 secondi d’arco/pixel), sono state confrontate con analoghe immagini riprese nelle stesse ore dai telescopi a terra e il risultato è stato che – rispetto alle stelle di sfondo molto più lontane – Proxima e Wolf 359 si trovano in una posizione leggermente diversa perché viste da due posizioni differenti nello spazio. L’angolo di spostamento per Proxima è di circa 24 secondi d’arco, mentre per Wolf 359 è grosso modo la metà. Si tratta di angoli molto più elevati e facili da misurare rispetto a quelli che si hanno restando confinati alle piccole dimensioni dell’orbita terrestre. Inoltre, essendo le misure praticamente contemporanee, non è necessario correggere per il moto proprio della stella, cosa che va fatta nel caso di osservazioni da terra perché richiedono mesi per essere portate a termine.
Considerato che Proxima e Wolf 359 sono stelle invisibili a occhio nudo e che l’angolo di parallasse misurato è – in ogni caso – inferiore alla capacità di risoluzione dell’occhio umano, se un ipotetico astronauta si portasse alla distanza di 7 miliardi di chilometri dal Sole vedrebbe lo stesso cielo che vediamo qua sulla Terra. Solo spostandosi nello spazio di qualche decina di anni luce le costellazioni terrestri inizierebbero a essere deformate in modo sensibile.
Quelle del team della New Horizons sono le prime determinazioni di parallasse trigonometrica fatte usando una base interplanetaria. Non è da escludere che – in futuro – possano essere lanciate sonde astrometriche tipo Gaia, ma remote, ossia in grado di lavorare con una gemella all’altezza dell’orbita della Terra per mietere le parallassi di buona parte delle stelle della Galassia.
Il progetto Sonda Remota, di cui scriveva l’impareggiabile Isaac Asimov nel romanzo Nemesis, potrebbe essere non troppo distante nel tempo.