I nuclei galattici attivi (o galassie attive) sono le sorgenti persistenti di radiazione elettromagnetica più luminose presenti nell’universo. È noto da tempo che la maggior parte di queste galassie ospiti al centro un buco nero supermassiccio, ma che ne esistano alcune che di questi mostri cosmici ingordi di materia ne alberghino due, finora è rimasta solo un’ipotesi prevista dalla teoria. Adesso, i risultati di una nuova ricerca pubblicata sulla rivista The Astrophysical Journal sembrano chiamarne in causa l’esistenza.
«In generale, i buchi neri supermassicci sono caratterizzati da masse di oltre un milione di volte quella del nostro Sole» ricorda Pablo Peñil, post-doc all’Università Complutense di Madrid, in Spagna, alla guida del team internazionale di astronomi che ha condotto lo studio. «Alcuni di questi buchi neri supermassicci, noti come nuclei galattici attivi (Agn), accelerano le particelle vicino alla velocità della luce, in raggi collimati chiamati getti. La loro emissione viene rilevata in tutto lo spettro elettromagnetico, ma la maggior parte della loro energia viene rilasciata sotto forma di raggi gamma».
Questi raggi gamma sono una forma estremamente energetica di luce, invisibile ai nostri occhi ma non a quelli del telescopio spaziale Fermi della Nasa. È proprio grazie a nove anni di osservazioni con questo telescopio sensibile ai raggi gamma che il team di ricerca, analizzando le curve di luce di un campione di circa 2000 nuclei galattici attivi, è stato in grado di rivelare in alcuni di essi un comportamento bizzarro: cicli di emissione che si ripetevano in media ogni circa due anni. «Identificare schemi regolari nell’emissione di raggi gamma dai nuclei galattici attivi è come guardare il mare in tempesta e cercare le minuscole e regolari onde causate, per esempio, dal passaggio di una piccola barca», aggiunge Peñil.
Nel loro studio, i ricercatori hanno identificato questa emissione periodica per 11 delle 2000 sorgenti esaminate, di cui 9 identificate per la prima volta. Questo comportamento periodico dell’emissione gamma ha diverse possibili spiegazioni: «Dall’effetto faro prodotto dai getti, alle modulazioni nel flusso di materia che cade nel buco nero», spiega Marco Ajello, astronomo del dipartimento di fisica e astronomia della Clemson University e co-autore dello studio. «Ma una soluzione molto interessante» continua il ricercatore «è quella che prevede che questa periodicità sia prodotta da una coppia di buchi neri supermassicci che ruotano l’uno attorno all’altro. Il prossimo passo» aggiunge il ricercatore «sarà la preparazione di campagne osservative con altri telescopi, per seguire da vicino queste galassie e sperare di svelare i motivi alla base di queste interessanti osservazioni».
Secondo i ricercatori, mentre la maggior parte di queste sorgenti sono di tipo BL Lacertae (Bl Lac) e flat spectrum radio quasars (Fsrq), alcune di esse, soprattutto quelle che hanno redshift moderato/alto, potrebbero avere un sistema binario di buchi neri supermassici.
«Finora erano noti solo due blazar (Pg 1553+113 e Pks 2155−304) che mostravano cambiamenti periodici nella loro emissione di raggi gamma» osserva Sara Buson, professoressa all’Università di Würzburg, in Germania, e anche lei tra i firmatari della pubblicazione. «Grazie al nostro studio possiamo affermare con sicurezza che questo comportamento è presente in altre undici sorgenti. Inoltre» continua la scienziata «il nostro studio ha trovato altre 13 galassie con accenni di emissione ciclica. Ma per confermarla dobbiamo aspettare che Fermi-Lat raccolga ancora più dati». L’ampliamento del campione di queste sorgenti periodiche di raggi gamma, concludono i ricercatori, rappresenterà un importante passo in avanti per comprendere i processi fisici che avvengono in queste galassie.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Systematic Search for γ-Ray Periodicity in Active Galactic Nuclei Detected by the Fermi Large Area Telescope” di P. Peñil, A. Domínguez, S. Buson, M. Ajello, J. Otero-Santos, J. A. Barrio, R. Nemmen, S. Cutini, B. Rani, A. Franckowiak