Uno fra i temi caldi per gli astronomi che si occupano di cosmologia è la cosiddetta “reionizzazione cosmica“: la fase dell’evoluzione dell’universo che segue la cosiddetta “età oscura”, risalente a quando la radiazione emessa dalle galassie primordiali raggiunse un’energia sufficiente per strappare gli elettroni agli atomi di idrogeno neutro – il gas intergalattico che allora dominava il cosmo – reionizzandolo, appunto. Un’epoca, questa, la cui fine – avvenuta quando tutto il gas è stato ionizzato – segnò l’inizio di una nuova “era”: quella in cui i fotoni emessi dalle galassie, non più assorbiti dal gas, si propagarono nello spazio giungendo sino a noi, permettendoci di osservare i meravigliosi oggetti celesti che popolano l’universo.
Le prove della reionizzazione non mancano, ma cosa abbia emesso questi fotoni ionizzanti, come e quando sono ancora domande aperte. Studiare questo processo significa comprendere le nostre origini cosmiche, e un modo per farlo è quello di osservare le galassie primordiali, cioè quelle che si sono formate nel primo miliardo di anni dell’universo. Galassie i cui fotoni sarebbero i responsabili della reionizzazione.
Secondo le attuali ipotesi formulate dagli astronomi, i principali sospettati di questo processo chimico sarebbero, in particolare, i fotoni emessi da due distinte popolazioni: una popolazione costituita da numerose galassie che perdono circa il 10 per cento dei loro fotoni energetici; o, in alternativa, un piccolo numero di galassie che emette invece una grande quantità – maggiore del 50 per cento – di fotoni. Queste galassie primordiali sono molto diverse da quelle più giovani. Per fare un paragone, le galassie nell’universo locale perdono una quantità di fotoni ionizzanti che è inferiore al 2-3 per cento. Per capire quali galassie governassero la reionizzazione cosmica, una possibilità che gli astronomi hanno è quella di rilevare la luce emessa dagli atomi di idrogeno eccitati dalla ionizzazione nel mezzo intergalattico (la cosiddetta riga Lyman-alfa). Questa radiazione può essere infatti utilizzata per ottenere informazioni sulla frazione di fotoni in fuga dalle galassie.
E se è vero che tali rilevamenti sono rari, poiché la luce emessa può essere assorbita dal gas neutro circostante, ciò significa anche che la rilevazione di questo segnale dell’idrogeno rappresenta la prova della presenza di una grande bolla di gas ionizzato – il che implica l’aver individuato una galassia che reionizza i suoi dintorni cosmici. La dimensione della bolla e la luminosità della galassia determinano inoltre se questa è la sola responsabile della creazione della nube di gas ionizzato o se sono coinvolti altri “complici invisibili”.
Un team di astronomi guidati da Romain Meyer, dottorando alla University College di londra (UCL), ha ora osservato questa firma dell’idrogeno ionizzato: un doppio picco caratteristico.
La firma, rilevata negli spettri ottenuti dal telescopio spaziale Hubble della Nasa e confermata dallo strumento X-Shooter sul Very Large Telescope dell’Eso, sarebbe il prodotto della ionizzazione di idrogeno neutro intergalattico causata dai fotoni emessi da una galassia recentemente scoperta: A370p_z1.
Poiché questa luce ha impiegato 13 miliardi di anni per raggiungerci, ciò significa che 800 milioni di anni dopo il Big Bang i fotoni emessi da A370p_z1 stavano già strappando elettroni al gas circostante: una prova evidente del fatto che la reionizzazione dell’idrogeno è stata completata nel primo miliardo di anni dell’universo. Un risultato importante, se si considera che questi oggetti in grado di creare bolle di idrogeno ionizzato sono rimasti fino a ora misteriosi.
I risultati di questo studio sono illustrati in un articolo (“Double-Peaked Lyman-Alpha Emission at z = 6.803: A Reionisation-Era Galaxy Self-Ionising Its Local H II Bubble”) sottoposto per la pubblicazione a Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, e sono stati presentati ieri all’annuale meeting della European Astronomical Society (Eas), quest’anno in forma virtuale a causa della pandemia causata dal Covid-19. Stando ai dati raccolti, dalla galassia A370p_z1 sfuggiva circa il 60-100 per cento di fotoni ionizzanti, e questo fatto è stato probabilmente responsabile della ionizzazione delle nubi di gas intergalattico circostante. Un risultato, questo, che avvalora lo scenario secondo cui solo un piccolo numero di galassie molto luminose fu il responsabile della reionizzazione.
«È la prima volta che possiamo indicare un oggetto come responsabile della creazione di una bolla di gas ionizzato, senza la necessità di un contributo da parte di galassie invisibili», sottolinea Meyer. «Ulteriori osservazioni con l’imminente James Webb Space Telescope ci consentiranno di studiare ulteriormente quello che è probabilmente uno dei maggiori sospettati del caso irrisolto della reionizzazione cosmica».