In estate tutti tendiamo a passare più tempo all’aperto. Le calde notti invitano a uscire per una passeggiata rinfrescante durante le quale si può mettere in pratica il consiglio del grande Stephen Hawking “Guardate le stelle non i vostri piedi”. Basta alzare gli occhi e il cielo è a vostra disposizione senza bisogno di prenotazione né di biglietto. Vi siete mai chiesti come mai cosmologia e cosmetica abbiano la stessa radice? Cosmo significa bellezza, ma per poterne fruire occorre un ingrediente essenziale: il buio. Apparentemente disponibile in quantità illimitata, il buio è invece merce rara nella nostra illuminata civiltà. Per vincere l’oscurità ci dotiamo di un’illuminazione eccessiva e disordinata dimenticando che, per essere utile, la luce deve essere rivolta verso il basso, dove noi viviamo, e non verso l’alto, dove splendono le stelle. Si chiama inquinamento luminoso ed è, al tempo stesso, uno spreco economico e un danno estetico perché, illuminando male la notte, spegniamo le stelle e perdiamo uno degli spettacoli più emozionanti che la natura ci offre.
D’estate la Via Lattea ci passa proprio sopra la testa. È uno spettacolo maestoso, ma provate a pensare quante volte siete riusciti a vedere il chiarore lattiginoso che attraversa il cielo. Non è un faro nella notte, ma piuttosto una luce discreta e viene facilmente cancellata dalla troppa luce diffusa. Se proprio non vi ricordate come appare la Via Lattea, non abbiatene a male, non siete affatto soli. Il problema è globale: un terzo della popolazione del pianeta vive in regioni così illuminate da non riuscire a vedere la Via Lattea.
Non parliamo solo delle grandi città, l’inquinamento luminoso è subdolamente presente anche in luoghi appartati perché la luce dei centri urbani viene diffusa delle particelle presenti nell’atmosfera e forma dei vasti aloni. Ve ne potete rendere conto facilmente se, in agosto, deciderete di andare a caccia di stelle cadenti. Trovate un posto buio e mettetevi comodi perché le selle cadenti, anche se numerose, non arrivano a comando e ci vuole pazienza. Nel caso ci fosse la Luna, vi accorgerete subito che la sua luce renderà più difficile la vostra ricerca perché aumenta la luminosità di fondo del cielo. Per fortuna, la Luna, presto o tardi, tramonterà. Quello che continuerà a tenervi compagnia, invece, è il chiarore diffuso causato dalle luci delle città grandi e piccole che costellano la penisola. Ciascuno di noi, guardando il cielo ha una percezione soggettiva di quanto buio sia il luogo dove si trova, ma, per avere una visione globale, bisogna andare nello spazio e fotografare la Terra di notte. In condizioni naturali, l’emisfero non illuminato dal Sole dovrebbe essere perfettamente buio, con l’eccezione degli incendi causati dai fulmini nelle foreste e delle aurore boreali. Invece, i dati dei satelliti meteorologici ci mostrano che la Terra di notte brilla delle luce delle sue città, delle strade, dei parcheggi, dei cartelloni pubblicitari, oltre che degli incendi (in gran parte non naturali) delle foreste e di quelli che bruciano il gas liberato dall’estrazione del petrolio. Le luci tracciano la geografia dei continenti e mappano la densità di popolazione e la ricchezza delle nazioni. I più ricchi illuminano (e sprecano) molto di più degli altri e, man mano che le nazioni aumentano i loro standard di vita, aumentano le loro emissioni luminose. I satelliti misurano la luce dispersa (e sprecata) verso l’alto e i loro dati, corroborati da misure fatte al suolo, possono essere utilizzati per costruire mappe mondiali dell’inquinamento luminoso. In Italia, la situazione non è delle migliori e godiamo del non invidiabile primato di essere uno dei paesi industrializzati con il più alto inquinamento luminoso.
Questo penalizza chiunque voglia godere della grande bellezza del cosmo e fa capire perché gli astronomi costruiscano i loro strumenti nei posti più remoti del pianeta. Poiché popolazione fa rima con illuminazione bisogna scegliere luoghi disabitati che offrano cieli perfetti, anche grazie alle loro posizioni geografiche. Montagne in zone desertiche, oppure su isole in mezzo all’oceano, sono i luoghi ideali, non facili da raggiungere, ma con un cielo straordinariamente buio, degno dei più grandi telescopi del mondo. Chi avrebbe potuto immaginare che nemmeno le cattedrali dell’astronomia potevano ritenersi al sicuro? Il nuovo pericolo viene dall’alto ed è dovuto ai satelliti che stanno cominciando ad affollare il cielo per fornire internet in ogni angolo del mondo. Un’idea visionaria, forse meritoria, certo con prospettive di guadagno molto allettanti. Gli astronomi, all’inizio, non si erano preoccupati: le orbite terrestri ospitano circa novemila oggetti tra satelliti attivi e non funzionanti e, tranne poche eccezioni, la luce del Sole che riflettono, quando sono ancora illuminati mentre al suolo è già venuto buio, non dà troppo fastidio. Anzi, mentre aspettate di vedere le stelle cadenti potreste anche cimentarvi nella caccia ai satelliti, uno dei giochi preferiti di mio marito e di nostra figlia che passavano ore sul terrazzo della casa nell’entroterra ligure a sfidarsi a chi vedeva il maggior numero di puntini luminosi in movimento.
La tranquilla convivenza tra astronomia e satelliti è finita il 24 maggio dell’anno scorso con il lancio dei primi 60 Starlink che, inaspettatamente, sono risultati luminosissimi. Colpa della struttura appiattita e del grande pannello solare che, se si presenta con l’angolo giusto, riflette la luce del Sole e può essere più brillante delle stelle visibili ad occhio nudo. Appena dopo il lancio, i satelliti Starlink formano veri e propri trenini di luci che vengono spesso scambiati per Ufo.
Prima esterrefatta, poi preoccupatissima la comunità astronomica ha subito chiesto modifiche ai satelliti per abbassare la loro luminosità. Che senso avrebbe costruire enormi e sensibilissimi telescopi per avere immagini rovinate dalle strisciate dei trenini luminosi? L’astronomia non è certo contraria alle innovazioni tecnologiche, anzi ne è spesso protagonista. Ecco perché da astronoma e da entusiasta dello spazio ho deciso di scrivere un libro sull’inquinamento luminoso da luci al suolo e da costellazioni di satelliti. Mi sono trovata a seguire l’attualità tra lanci e avvistamenti di presunti Ufo, tra le proteste e le collaborazioni, tra misurazioni dei professionisti e quelle degli appassionati che partecipano a progetti di citizen science. Forse la vicenda dei satelliti troppo luminosi avrà un lieto fine, grazie a delle astute alette parasole. Tuttavia, questa è la realtà del nostro rapporto con il cielo stellato: patrimonio dell’umanità, bellissimo ma fragile. A disposizione di tutti senza appartenere a nessuno, la grande bellezza celeste ci ricorda che ognuno di noi, con le sue scelte, può fare la differenza perché “Il cielo è di tutti”.
Il libro di Patrizia Caraveo Il cielo è di tutti (Edizioni Dedalo, 2020) sarà in libreria dal 9 luglio. La sera di mercoledì 8 luglio l’autrice lo presenterà al Festival del libro possibile a Polignano a Mare (BA)