INTERVISTA ALL’AUTORE DELLA FOTO SELEZIONATA DALLA NASA

Quando Mercurio si traveste da cometa

Mercurio si mette la coda per attirare l’attenzione della Nasa, che pubblica lo scatto di Andrea Alessandrini come Astronomy Picture of the Day di ieri, mercoledì 8 luglio. La coda, lunga oltre 2,5 milioni di chilometri, è dovuta alla presenza di atomi di sodio nell’atmosfera del pianeta, che vengono liberati ed eccitati dalla radiazione solare

     09/07/2020

La “coda di sodio” di Mercurio immortalata da Andrea Alessandrini (cliccare per ingrandire) è stata selezionata dalla Nasa come Apod dell’8 luglio 2020. Crediti e copyright: Andrea Alessandrini

Era alla ricerca dello scatto perfetto, delle condizioni ideali e del soggetto giusto, visibile dal suo piccolo balcone che guarda solo a nord-ovest, da cui osserva il cielo con i suoi quattro telescopi amatoriali. L’ha trovato in questa foto, pubblicata dalla Nasa come Astronomy Picture of the Day lo scorso 8 luglio. Ha la coda ma… no, non è Neowise.

«Non mi piace l’accademismo in astrofotografia. Sia chiaro, mi cimento anch’io nei soggetti più “inflazionati” e noti, ma più per cercare di imparare dai più bravi la tecnica, che ancora non padroneggio come vorrei, per essere pronto per gli scatti che mi interessano davvero. Ero alla ricerca di qualcosa di originale, che ancora non fosse stato fatto e che mi desse soddisfazione fotografare, innanzitutto.»

Così Andrea Alessandrini introduce a Media Inaf l’idea della sua fotografia di Mercurio “con la coda”. Laureato in ingegneria aerospaziale e appassionato di osservazioni astronomiche e astrofotografia fin da bambino, ci racconta i dettagli su come è stato realizzato questo scatto.

«L’idea è nata dal fatto che nel mondo dell’astrofotografia vedo continuamente immagini incredibili, quasi inarrivabili. Quindi mi sono chiesto: c’è qualcosa che ancora non è stato fatto, qualche strada inesplorata per vincere la competizione – aspetto da non sottovalutare, specie se uno vuol proporre il suo scatto alla Nasa come Apod, come volevo fare io?»

E sei arrivato a Mercurio…

«Ho cominciato a fare qualche ricerca, e mi sono ricordato di aver letto un articolo su Coelum riguardo la presenza di questa coda di atomi di sodio su Mercurio. Ho trovato qualche articolo dei ricercatori che ci hanno lavorato e ho visto era già stata osservata schermando la luce del pianeta. Ho cercato quindi se fra la strumentazione di cui disponevo ci fosse qualcosa che poteva essere adatto allo scopo».

E hai trovato quel che ti occorreva…

«Avendo letto che si trattava di atomi di sodio e avendo già acquistato – per osservazioni solari – un filtro interferenziale centrato proprio sull’emissione del sodio, ho pensato che avrebbe potuto aiutarmi a isolare la luce proveniente dalla coda di Mercurio rispetto a quella del crepuscolo. È stato proprio questo il fattore chiave che ha consentito la riuscita della foto».

Quindi, Mercurio ha la coda… Come si forma?

«In sostanza la radiazione solare strappa via da Mercurio, ed eccita, alcuni atomi presenti nella rarefatta “atmosfera” del pianeta – se così possiamo chiamare ciò che lo circonda, ma che si forma in un modo molto diverso da come si è originata, ad esempio, l’atmosfera terrestre – e debolmente legati gravitazionalmente a esso. Ne risulta una coda che si estende per oltre due milioni e mezzo di chilometri, nella cui composizione c’è un’abbondante presenza di atomi di sodio, che a loro volta riemettono la radiazione che ho cercato di catturare».

Quale dei tuoi quattro telescopi hai utilizzato?

«Ho usato un telescopio rifrattore Stellarvue con soli 66 mm di diametro e 400 mm di focale con un riduttore-spianatore William Optics 0.8x, in modo da raccogliere una discreta luminosità. Ho fatto realizzare da un tornitore un manicotto che si collegasse a metà fra il riduttore e il telescopio per poter alloggiare un piccolo filtro della Edmund Optics centrato a 589 nm e con una larghezza di banda di 10 nm. L’ho posizionato in montatura equatoriale in parallelo al Celestron Schmidt-Cassegrain da cinque pollici con oculare a crocicchio, altro piccolo telescopio che possiedo. Questo perché ho fatto un’esposizione di 7 minuti e mezzo, e in questo tempo Mercurio si muove rispetto alle stelle sullo sfondo. Ho quindi inseguito manualmente Mercurio con l’oculare a crocicchio posizionato sul secondo telescopio, mentre il primo telescopio riprendeva».

Andrea Alessandrini, qui con l’attrezzatura usata per lo scatto selezionato dalla Nasa, sul balcone dal quale ha immortalato la coda di Mercurio

Per scattare la foto, invece?

«Ho usato una reflex digitale Pentax K3-II».

È andata liscia al primo tentativo?

«Ho dovuto fare più tentativi, perché era una cosa nuova e dovevo fare varie prove. Volevo approfittare della massima elongazione del 4 giugno scorso, ma il meteo non è stato quasi mai buono. Avevo però cominciato i miei tentativi verso fine maggio e il miglior scatto – quello che è stato selezionato per l’Apod – è del 27 maggio, precisamente alle 20:44».

Quello che vediamo nell’immagine è proprio lo scatto originale?

«No, avendo usato una reflex digitale ho poi dovuto cercare di estrapolare il segnale dall’immagine grezza. La coda infatti non era immediatamente visibile: il canale del rosso era completamente saturato e privo di informazioni. Il canale del blu, come mi aspettavo, era scurissimo perché il filtro del sodio ha il colore giallo ambrato dei lampioni stradali – che sono infatti lampade al sodio. Il canale del verde, invece, aggiustando i livelli con un programma di fotoritocco, mi ha permesso di estrarre l’informazione».

Era la prima volta che proponevi un tuo scatto alla Nasa per l’Apod?

«Sì, era la prima volta. Mia madre quando ero ragazzino mi diceva sempre che ero troppo severo con me stesso. In questo caso risponderei che, dovendo fare un tentativo così ambizioso, volevo trovare qualcosa che mi desse la soddisfazione giusta nel caso l’immagine fosse stata pubblicata. Volevo che fosse anzitutto qualcosa di significativo per me, e poi da proporre agli altri. Non volevo fare una foto bella ma che reputavo banale, anche se me l’avessero pubblicata».

In questo scatto invece ti sei sentito sicuro…

«No, sicuro non direi. All’inizio non ci ho sperato molto, soprattutto perché questa non è una cosa appariscente. Anche se a livello di contenuto tecnico magari ci siamo, non è così spettacolare come alcune bellissime foto che si trovano nel sito della Nasa. E poi, devo dire la verità, proprio perché era una cosa particolare e difficile, all’inizio sono stato un po’ titubante riguardo la sua riuscita e autenticità. Non l’ho condivisa subito».

Come te ne sei convinto?

«Innanzitutto, ho fatto altri scatti. Quella stessa sera, ad esempio, ne avevo ottenuti due in cui si vedeva la coda. Avevo cercato poi di mettere la reflex parallela alla linea dell’orizzonte in modo da avere un riferimento per capire se quel che vedevo era nella direzione che mi aspettavo e aveva la forma giusta. Poi, tre giorni dopo, ho ritentato la posa nelle stesse condizioni e ho rivisto la stessa forma, la stessa direzione e lo stesso movimento rispetto alle stelle sullo sfondo. Mi sembravano troppe le coincidenze. L’ho inviata quindi alla rivista Sky & Telescope, mi ha risposto il redattore chiedendomi il file grezzo per sottoporlo agli esperti per una verifica. Lui stesso poi mi ha ricontattato scrivendomi: “Ce l’hai fatta, complimenti, splendida foto”. Questo mi ha confortato molto, ammetto che il dubbio mi era comunque rimasto. Insomma, non volevo fare una figuraccia internazionale mandando una foto che poi alla fine non era quel che pensavo. Il rischio era concreto».