Se avete visto Interstellar – il film del 2014 che ha visto il famoso astrofisico Kip Thorne come consulente scientifico – vi ricorderete del wormhole posto in prossimità di Saturno: un cunicolo spazio-temporale in grado di condurre in un’altra galassia, con pianeti abitabili che potrebbero costituire una nuova casa per l’umanità. Ecco, in questa notizia i wormhole non c’entrano ma i buchi neri, loro parenti stretti, sì… e potrebbero essere piuttosto vicini, non quanto Saturno ma non molto più distanti.
C’è infatti chi ha ipotizzato che il famoso Pianeta Nove a lungo cercato alla periferia del Sistema solare potrebbe in realtà essere un buco nero. Sì, avete capito bene: ci potrebbe essere un buco nero (o forse anche più di uno) alla periferia del nostro Sistema solare. Ovviamente noi non lo riusciremmo a vedere – perché non emetterebbe luce – ma potremmo osservarne gli effetti su altri corpi vicini. Effetti che potrebbero giustificare le anomalie riscontrate oltre l’orbita di Nettuno e imputate al Pianeta Nove, per l’appunto.
A questo proposito, due scienziati dell’Università di Harvard e della Black Hole Initiative (Bhi) – Avi Loeb e Amir Siraj – hanno sviluppato un nuovo metodo per cercare buchi neri nel Sistema solare esterno e determinare, una volta per tutte, la vera natura dell’ipotetico Pianeta Nove. Lo studio, accettato per la pubblicazione su The Astrophysical Journal Letters, evidenzia la capacità della futura missione Lsst (Legacy Survey of Space and Time) di trovare buchi neri osservando i flare di accrescimento che potrebbero derivare dagli “impatti” di piccoli oggetti della nube di Oort con i buchi neri stessi, la cui presenza potrebbe dimostrare o escludere la possibilità che il Pianeta Nove sia in realtà un buco nero.
«In prossimità di un buco nero, i piccoli corpi che si avvicinano a esso si fonderanno a causa del riscaldamento derivante dall’accrescimento del gas del mezzo interstellare», spiega Siraj. «Una volta che si sono fusi, i corpi sono soggetti all’interazione mareale da parte del buco nero, seguita dall’accrescimento del corpo nel buco nero stesso». «Poiché i buchi neri sono intrinsecamente scuri, la radiazione che la materia emette nel suo cammino verso le fauci del buco nero è l’unico modo per illuminare questo ambiente oscuro», aggiunge Loeb.
Il nuovo metodo potrebbe portare benefici anche alle future ricerche di buchi neri primordiali. «Questo metodo è in grado di rilevare – o escludere – buchi neri di massa planetaria intrappolati al bordo esterno della nube di Oort, a circa centomila unità astronomiche», riferisce Siraj. «Potrebbe essere in grado di porre nuovi limiti alla frazione di materia oscura contenuta nei buchi neri primordiali».
Lsst dovrebbe avere la sensibilità necessaria per rilevare i flare di accrescimento, mentre la tecnologia attuale non è in grado di farlo senza una guida. «Lsst ha un ampio campo visivo, che copre tutto il cielo più e più volte, alla ricerca di flare transitori», riferisce Loeb. «Altri telescopi sono bravi a puntare verso un obiettivo noto ma noi non sappiamo esattamente dove cercare il Pianeta Nove. Conosciamo solo l’ampia regione in cui potrebbe risiedere». Siraj aggiunge: «La capacità di Lsst di scandagliare il cielo due volte a settimana è estremamente preziosa. Inoltre, la profondità senza precedenti che lo caratterizza consentirà il rilevamento di flare risultanti da impatti relativamente piccoli, che sono più frequenti di quelli di grandi dimensioni».
Il nuovo studio si concentra sul Pianeta Nove come primo candidato per la rilevazione. Si tratta di un oggetto su cui sono state fatte molte speculazioni: la maggior parte delle teorie suggerisce che il Pianeta Nove sia un pianeta non ancora rilevato, ma in realtà potrebbe anche essere un buco nero di massa planetaria.
«Il Pianeta Nove è una spiegazione convincente per il raggruppamento osservato di alcuni oggetti oltre l’orbita di Nettuno. Se l’esistenza del Planeta Nove venisse confermata da evidenze elettromagnetiche dirette, si tratterebbe della prima rilevazione di un nuovo pianeta nel Sistema solare in due secoli, senza contare Plutone», spiega Siraj, aggiungendo però che l’incapacità di rilevare la luce dal Pianeta Nove – o di altri modelli recenti, come il suggerimento di inviare sonde per misurare l’influenza gravitazionale – renderebbe l’eventualità che si tratti di un buco nero una possibilità molto affascinante, oltre che plausibile. «Ci sono state molte speculazioni su spiegazioni alternative per le orbite anomale osservate nel Sistema solare esterno. Una delle idee avanzate», ricorda infatti il ricercatore «è stata che il Pianeta Nove potesse essere un buco nero delle dimensioni di un pompelmo, con una massa da cinque a dieci volte quella della Terra».
L’attenzione particolare rivolta al Pianeta Nove si basa sia sul significato scientifico senza precedenti che l’ipotetica scoperta di un buco nero di massa planetaria nel Sistema solare avrebbe, sia sul continuo interesse a comprendere ciò che sta succedendo là fuori. «La periferia del Sistema solare è il nostro cortile. Trovare il Pianeta Nove sarebbe come scoprire un cugino che vive nel capanno dietro casa tua di cui non hai mai saputo l’esistenza», ha detto Loeb. «Solleva immediatamente domande: perché sta lì? Come fa a essere così, ad avere certe proprietà? Ha modellato la storia del Sistema solare? Ce ne sono altri?». Confidiamo in Lsst per avere alcune risposte.
Per saperne di più:
- Leggi su arXiv l’articolo “Searching for Black Holes in the Outer Solar System with LSST” di Amir Siraj, Abraham Loeb