SI ESTENDE PER BEN 200 GRADI NEL CIELO

Scoperto un muro di galassie al Polo Sud celeste

Si chiama South Pole Wall, è un immenso arco di galassie nelle vicinanze del Polo Sud celeste, a circa 500 milioni di anni luce da noi, ed è la struttura cosmica più estesa scoperta a queste distanze. Si tratta di un’opera di cartografia cosmica che sfrutta cataloghi di galassie costruiti in decenni di studi, e raccolti nel progetto Cosmicflows-3. Lo studio è pubblicato in The Astrophysical Journal

     14/07/2020

Rappresentazione del South Pole Wall. Crediti: Daniel Pomarède et al., ApJ, 2020

Qual è l’indirizzo più esteso e preciso che possiamo dare al nostro pianeta? La Terra si trova nel Sistema solare interno, il quale si colloca a sua volta nel Braccio di Orione, uno dei bracci di spirale della nostra galassia, la Via Lattea. La Via Lattea fa parte di un gruppo di galassie noto come Gruppo locale, alla periferia del superammasso di galassie della Vergine (l’ammasso della Vergine, dove si trova anche il buco nero della celebre foto, è uno degli ammassi di galassie più vicini e studiati). Dal 2014 infine, si è scoperta una struttura su scala ancora maggiore, il superammasso Laniakea, che conta ben centomila galassie in un volume di circa 500 milioni di anni luce, e il cui cuore coincide con il cosiddetto Grande Attrattore. Il nome di quest’ultimo rende conto dell’evidenza osservativa per cui l’universo locale di galassie – Via Lattea compresa – si muove come un flusso coerente verso una direzione unica, diversa da quella attesa: quella appunto del Grande Attrattore.

E quale sarebbe, invece, la direzione attesa? La risposta – tanto corretta quanto criptica – dovrebbe essere: “nessuna o tutte le direzioni”. Il Principio cosmologico, sul quale si basano tutte le teorie sulla struttura su larga scala del cosmo e la sua evoluzione, dice che l’universo è complessivamente omogeneo e isotropo. Ciò significa che la distribuzione di materia al suo interno dovrebbe essere la stessa osservando in qualunque direzione, e che non dovrebbero esserci direzioni preferenziali nel moto delle strutture che lo popolano. L’universo è in espansione ed è omogeneamente permeato dalla radiazione cosmica di fondo – l’eco del Big Bang, a 2.7 gradi Kelvin – e le galassie si allontano le une dalle altre come punti disegnati su di un palloncino mentre lo si gonfia. Esiste una legge – la legge di Hubble, una delle più famose in astrofisica – per calcolare la distanza delle galassie basata proprio su questo principio: più una galassia si allontana velocemente da noi per effetto dell’espansione cosmica, più essa sarà distante.

Come si conciliano, dunque, il principio cosmologico e la presenza di un “grande attrattore”? A prima vista sembrerebbero in evidente contraddizione.  Come sempre nella scienza, però, c’è un però a mettere ordine. Il principio cosmologico vale infatti su larga scala, mentre su scala più piccola vince la gravità. In altre parole, possono esistere agglomerati di materia, gas, polveri e galassie nelle quali la gravità la fa da padrona per tenere i pezzi insieme. È grazie a questo, d’altronde, che esistono le galassie, le stelle, i pianeti e, di conseguenza, noi esseri viventi.

Una prima indicazione del moto peculiare del nostro sistema di riferimento – Terra, Sistema solare, Via Lattea – rispetto al cosmo si vede proprio dalla radiazione cosmica di fondo, che si presenta ai nostri occhi come un dipolo, cioè con una direzione preferenziale: quella verso la quale si muove il nostro Gruppo locale, a una velocità di 630 km/s, e che punta molto vicino al superammasso di Shapley, situato nella costellazione del Centauro a circa 650 milioni di anni luce da noi.

Un modo per accorgersi della presenza, nel cosmo, di questi enormi attrattori gravitazionali è proprio quello di confrontare la distanza misurata delle galassie che li popolano con quella calcolata dalla loro velocità di recessione, secondo la legge di Hubble. È proprio con questo metodo, mettendo assieme una generosa collezione di cataloghi e survey spettroscopiche di galassie – il catalogo Cosmicflows-3 – che un gruppo di scienziati ha rivelato la presenza e battezzato un’inedita struttura cosmica: il South Pole Wall. Le galassie che si trovano fra noi e questa enorme accumulazione ad arco di galassie sono accelerate poiché attratte da essa, mentre quelle che si trovano oltre la struttura risultano frenate rispetto all’espansione cosmica. Lo studio è pubblicato nella rivista The Astrophysical Journal.

Si tratta di una struttura molto simile in estensione al già noto Sloan Great Wall – rivelato grazie alla raccolta di dati spettroscopici della Sloan Digital Sky Survey – ma circa due volte più vicino. Il South Pole Wall si trova, come suggerisce il nome, nei pressi del Polo Sud Celeste, diviso dal superammasso di Shapley a causa dell’oscuramento galattico dovuto alle polveri situate nel piano del disco della Via Lattea. La sua estensione è di ben 200 gradi – più di un semicerchio – e la sua distanza media è di di circa 500 milioni di anni luce. Quel che più impressiona i ricercatori, però, sono le sue dimensioni rispetto al volume campionato durante le loro ricerche: la dimensione accertata del muro di galassie osservato è di circa 420 megaparsec (circa 1,3 miliardi di anni luce), il doppio della raccolta di distanze in Cosmicflows-3.

«Ci si potrebbe chiedere come una struttura così grande e non così lontana sia rimasta inosservata», dice il cartografo cosmico dell’Università di Paris-Saclay Daniel Pomarède, primo autore dello studio. «Ciò è dovuto alla sua posizione in una regione del cielo che non è stata completamente rilevata e in cui le osservazioni dirette sono ostacolate da macchie di polvere e nuvole galattiche. L’abbiamo trovata grazie alla sua influenza gravitazionale, impressa nelle velocità di un campione di galassie».

Lo studio dei flussi di velocità delle galassie all’interno del South Pole Wall mostra inoltre che esso è costituito da diversi nodi gravitazionali che attraggono localmente le galassie. Pomarède e collaboratori si interrogano soprattutto sulla possibile connessione fra il South Pole Wall e il superammasso di Shapley, difficile da stabilire a causa dell’oscurazione delle polveri, ma verosimile considerando la posizione del picco di densità del muro, le simili velocità delle due strutture e infine la prossimità del dipolo della radiazione cosmica di fondo.

«Ci chiediamo se il South Pole Wall sia molto più grande di quello che vediamo. Quello che abbiamo mappato si estende su tutto il territorio della regione che abbiamo esaminato. Siamo i primi esploratori del cosmo, e stiamo estendendo le nostre mappe in un territorio sconosciuto», dice Richard Brent Tully, ricercatore all’Istituto di astronomia delle Hawaii e coautore dello studio, nonché padre dello studio sul superammasso Laniakea.

L’obiettivo, quindi, è quello di proseguire la cartografia della regione allargandosi a scale sempre maggiori, per definire l’estensione di queste strutture di filamenti e nodi gravitazionali, comprenderne forme e congiunzioni e soprattutto, capire quanto esse siano comuni nel cosmo e in quale misura esse riflettano la trama della materia oscura nella quale sono supposte alloggiare.

Per saperne di più:

  • Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Cosmicflows-3: The South Pole Wall”,  di Daniel Pomarède, R. Brent Tully, Romain Graziani, Hélène M. Courtois, Y. Hoffman e Jérémy Lezmy

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