SISTEMI PLANETARI STABILI? LO DECIDE SPOCK

Lunga vita e prosperità

Lo “Stability of Planetary Orbital Configurations Klassifier” è un algoritmo ad apprendimento automatico in grado di escludere le configurazioni instabili dei sistemi planetari osservati. Quelle che, se verificate, avrebbero condotto un esopianeta allo scontro ben prima che un telescopio spaziale potesse scoprirlo. Tutto in pochi minuti. Centomila volte più veloce del metodo forza bruta

     14/07/2020

Leonard Nimoy aka Spock, primo ufficiale a bordo dell’astronave Enterprise

Non poteva che portare il nome del vulcaniano dalle orecchie a punta più famoso della TV, il signor Spock, personaggio della serie televisiva Star Trek interpretato da Leonard Nimoy (e Zachary Quinto, per chi è vergognosamente giovane).

Spock, come Stability of Planetary Orbital Configurations Klassifier, è l’algoritmo ad apprendimento automatico che determina la sopravvivenza o meno di un sistema planetario su tempi lunghi. Centomila volte più veloce di un calcolatore che lavora con forza bruta, promette di rivoluzionare il modo in cui gli astrofisici guardano al vicino universo e danno la caccia agli esopianeti, identificando in modo affidabile le configurazioni che portano allo scontro fra corpi celesti che orbitano in sistemi compatti.

Come il celebre vulcaniano della fantascienza, Spock decide chi meriti «lunga vita e prosperità». Negli ultimi 25 anni sono oltre 4000 gli esopianeti scoperti dalla comunità scientifica e sono più di 700 le stelle conosciute per avere due o più pianeti in orbita attorno a loro. Disporre di un nuovo strumento per interpretare i dati potrebbe aiutare gli astronomi a capire se si tratta di pianeti rocciosi, mondi di ghiaccio o giganti gassosi. Escludere le configurazioni di pianeti dinamicamente instabili consentirà infatti agli astronomi di lavorare su scale sostanzialmente più grandi di prima.

Un bravo scienziato si chiede perché i corpi celesti sparsi nel cosmo non si scontrino più spesso fra loro. Come si organizza un sistema planetario come quello che abitiamo e quelli che ormai siamo abituati a incontrare attorno ad altre stelle? Di tutte le possibili configurazioni dinamiche, quante resteranno stabili nei miliardi di anni del ciclo di vita della loro stella ospite?

Dei tre pianeti rilevati nel sistema Kepler-431 non si conoscono con esattezza le orbite. Il gruppo di ricerca internazionale guidato dal Daniel Tamayo, di Princeton, ha rimosso tutte le configurazioni instabili che avrebbero da tempo portato a uno scontro fra i pianeti. Tutto grazie a un algoritmo che impiega appena 14 minuti per calcolare le configurazioni possibili. Crediti: Daniel Tamayo

Ripulire i dati da tutte le possibilità che conducono a un fallimento (lo scontro fra i corpi dello stesso sistema e il conseguente collasso) non è facile come potrebbe sembrare. E le macchine a forza bruta non sono in grado di gestire un livello di complessità simile in tempi ragionevoli. Quello della stabilità orbitale è un problema rognoso e già Newton ci si era rotto le corna. Con i supercomputer qualcosa sta cambiando ma… tocca aspettare.

Nel frattempo qualcosa di buono si può fare combinando i modelli semplificati delle interazioni dinamiche dei pianeti con algoritmi di apprendimento automatico, che sono alle basi di quella che chiamiamo intelligenza artificiale, si possono ottenere risultati sorprendenti in pochi minuti. E parliamo di calcoli che richiedono decine di migliaia di ore per essere risolti con forza bruta.

Le reti neurali artificiali aggirano l’ostacolo nella stessa maniera in cui lo fa la mente umana: imparando a valutare la complessità eliminando le ipotesi più fragili. Certo Spock non può dire che un sistema sia perfettamente stabile o che un altro stia per esplodere in tempi brevi, ma è in grado di escludere tutte le forme di instabilità che, se verificate, avrebbero già condotto un sistema all’implosione ben prima di essere osservati da uno dei nostri telescopi spaziali.

Per saperne di più:

  • Leggi su Proceedings of the National Academy of Sciences l’articolo “Predicting the long-term stability of compact multi-planet systems”, di Daniel Tamayo, Miles Cranmer, Samuel Hadden, Hanno Rein, Peter Battaglia, Alysa Obertas, Philip J. Armitage, Shirley Ho, David Spergel, Christian Gilbertson, Naireen Hussain, Ari Silburt, Daniel Jontof-Hutter e Kristen Menou