Con il termine space diplomacy si intende, nell’accezione originaria, l’utilizzo dello spazio e delle imprese spaziali come luogo diplomatico di contatto tra paesi dove costruire una intesa reciproca che servirà poi in settori più tradizionali (dove si potrebbe essere in contrapposizione). In altre parole, provare a fare qualcosa insieme nello spazio, quando sulla Terra siamo in disaccordo, con la speranza che tale collaborazione dia l’avvio a una migliore comprensione reciproca. Il termine space diplomacy ha ora una declinazione più generale di questa – e ne parleremo sotto – ma per il momento atteniamoci all’accezione originaria.
Il più spettacolare esercizio di space diplomacy fu il programma test Apollo-Sojuz (Astp, per Apollo Sojuz Test Program), prima collaborazione tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, che portò, il 17 luglio del 1975, alle 16:19 Utc, a un aggancio in orbita della navicella spaziale Apollo con la capsula Sojuz, con successivo trasferimento di equipaggi da una navicella spaziale all’altra.
Ripercorro velocemente le tappe e le motivazioni che resero possibile l’evento, riconosciuto come il quarto più importante per la conquista dello spazio, dopo lo Sputnik 1 (4 ottobre 1957), l’impresa spaziale di Yuri Gagarin (12 aprile 1961, di cui abbiamo già parlato qui a Media Inaf) e il primo uomo sulla Luna, Neil Armstrong (21 luglio 1969).
Il programma di collaborazione spaziale Astp fu concepito nei primi anni ‘70 e siglato, da Nixon e Kosygin, durante il loro incontro a Mosca nel 1972. Era un periodo di “coesistenza pacifica” tra le due superpotenze preminenti, dopo più di un decennio di Guerra Fredda, di corsa agli armamenti, di corsa frenetica allo spazio – space race, conclusa nel luglio del 1969 con l’allunaggio americano – e di problemi interni alle sue superpotenze (e.g. guerra in Vietnam, crisi dei missili a Cuba, invasione della Cecoslovacchia, destituzione di Chruščëv…). Negli Stati Uniti la Luna non riscuoteva più l’attenzione mediatica e il successo delle prime missioni e, per problemi di budget, il programma Apollo era stato tagliato, con l’ultima missione (Apollo 17) programmata per dicembre 1972. La situazione sovietica non era certo migliore, in quanto considerati “mediaticamente” perdenti nella corsa allo spazio.
Ambedue le superpotenze avevano quindi bisogno di un progetto sia per rilanciare le attività nazionali in campo spaziale (e quindi dare lavoro alle rispettive industrie spaziali) sia come punto di incontro su cui collaborare e parlarsi. Cosi venne fuori questa impresa politico-tecnologica “contro-natura” che alla fine, tuttavia, dimostrò che cooperare era possibile.
Le attività tra il 1972 ed il 1975 furono piuttosto intense, con diverse visite dei cosmonauti sovietici negli Usa e degli astronauti americani in Unione Sovietica, e con diversi problemi di carattere tecnologico da risolvere. Per esempio, dovettero progettare il modulo di aggancio tenendo in considerazione che le due navicelle (Apollo e Sojuz) avevano atmosfere diverse: non potevano agganciarsi direttamente, ma c’era la necessità di una “camera di compensazione” (docking module nella figura, 3m x 1,5m), che partì in volo con la navicella Apollo. Una curiosità riguardo al modulo di aggancio, che complicò la sua progettazione e costruzione, fu la seguente: usualmente un modulo di aggancio è composto (almeno lo era allora) da una combinazione “maschio-femmina”, tipo quella che si trova negli agganci degli innaffiatoi da giardino. Si narra (per ovvi motivi, mancano conferme “ufficiali”) che nessuna delle due super-potenze volesse fare la parte della “femmina”: dovettero quindi progettare ex-novo un sistema di aggancio “asessuato” a petali (lo si vede chiaramente nella figura delle due navicelle). Chissà quanto gli sarà costato.
Finalmente il 15 luglio 1975, alle 00:20 Utc, la capsula spaziale Sojuz 19 venne lanciata dal cosmodromo di Baikonour, utilizzando un razzo vettore Sojuz-U; a bordo Aleksej Archipovič Leonov (comandante della missione e primo uomo ad avere compiuto, nel 1965, un’attività extra-veicolare) e l’ingegnere di volo Valerij Nikolaevič Kubasov. Fu il primo lancio sovietico trasmesso in diretta televisiva. È veramente degno di nota il fatto che la capsula spaziale Sojuz sia essenzialmente la stessa ancora in uso, come “taxi”, per la Stazione spaziale internazionale: segno di una tecnologia magari un po’ antiquata ma molto affidabile. Essendo stata progettata più di 50 anni fa dal mitico chief designer Sergei Korolev (di cui spero un giorno di parlarvi), rappresenta un successo progettuale e realizzativo senza precedenti.
Circa sette ore più tardi venne lanciata da Cape Canaveral la navicella Apollo – denominata informalmente, in quanto nome mai accettato dalla Nasa, Apollo 18) – utilizzando, per l’ultima volta, un razzo vettore del tipo R Saturn IB; a bordo si trovavano Tom Stafford (comandante), Vance Brand e Deke Slayton. Quest’ultimo era parte del primo gruppo di sette astronauti, denominati Mercury 7, selezionati dalla Nasa nel 1959. Per una piccola imperfezione del cuore, molto probabilmente scoperta dopo la selezione come astronauta, questa fu la sua prima e unica missione.
Dato che le due navicelle partivano da posizioni diverse sulla Terra le manovre di avvicinamento non furono proprio semplicissime. L’aggancio avvenne il 17 luglio 1975 alle 16:19 Utc. “Apollo-Sojuz si stanno stringendo la mano”, commentò uno degli astronauti a bordo.
La porta della camera di compensazione tra le due navicelle si aprì alle ore 19:16 Utc, dopo avere bilanciato le atmosfere; e avvenne l’evento altamente simbolico della stretta di mano tra Aleksej Archipovič Leonov e Tom Stafford (stretta di mano provata decine di volte nel simulatore a Terra per trovare l’angolazione migliore per le riprese). Tutto in mondovisione sotto gli occhi di circa un miliardo di persone, con a seguire la prima conferenza stampa internazionale dallo spazio.
Le due navicelle rimasero agganciate in totale per circa 47 ore, operando due operazioni di aggancio una a carico degli americani e una a carico dei sovietici. Dopo il distacco definitivo (19 luglio, 15:26 Utc) la Sojuz rientrò tranquillamente a Terra il 21 luglio, atterrando nel deserto del Kazakistan, mentre Apollo 18 ammarò nelle acque dell’Oceano Pacifico tre giorni più tardi, poiché doveva portare a termine alcuni esperimenti in orbita. A causa di diverse circostanze sfortunate, il rientro a Terra di Apollo 18 prese una piega drammatica che poteva finire in tragedia; fortunatamente tutto si risolse nel modo migliore.
La missione Astp fu probabilmente l’atto finale della cosiddetta “Guerra Fredda”: mostrò al mondo che due nazioni nemiche potevano anche collaborare con successo a un progetto straordinario. Purtroppo subito dopo iniziò un periodo di deterioramento nei loro rapporti a causa di alcuni eventi internazionali (e.g. guerra sovietica in Afganistan, Polonia). Dovettero passare 18 anni per l’inizio di una nuova collaborazione (il programma Shuttle-Mir, annunciato nel 1993), preludio alla costruzione della Stazione spaziale internazionale (Iss), primo progetto spaziale a livello planetario (è d’obbligo ricordare che il 50 per cento dei moduli della Iss sono stati costruiti in Italia). Tutto è comunque riconducibile al programma Astp, in cui vennero definite le procedure di collaborazione e si crearono gli agganci (fondamentali, perché basati sulla stima e il rispetto reciproco) tra persone chiave nell’Unione Sovietica e persone chiave negli Stati Uniti.
La Space Diplomacy ha assunto ultimamente delle connotazioni più ampie rispetto al passato, ed è entrata di diritto tra le strategie governative dei vari paesi. Anche per il nostro governo (si vedano gli specifici indirizzi in materia spaziale ed aerospaziale) è prioritario che il Paese si doti di, testualmente, “una space diplomacy che preveda il rafforzamento della cooperazione internazionale e il presidio nazionale ai più alti livelli istituzionali di tutte le Organizzazioni internazionali di settore, allo scopo di assicurare una presenza costante ed influente dell’Italia, attraverso la partecipazione attiva in ambito Nazioni Unite, Esa, Commissione europea ed a programmi congiunti con la Nasa ed agenzie spaziali di altri paesi”. Quindi chiaramente una space diplomacy non solo strumento atto ad ammorbidire eventuali divergenze tra paesi, ma strumento di più ampio respiro in campo economico, sociale, scientifico, industriale, ecc… per promuovere il sistema Paese a livello internazionale.
Concludo con una considerazione finale. La corsa per la conquista dello spazio (o space race), circumterrestre prima, e della Luna poi, fu essenzialmente la conseguenza di un confronto politico di due visioni contrapposte del mondo. Questo duro confronto politico sarebbe potuto sfociare in una terribile guerra nucleare – considerata l’irrefrenabile e apparentemente inarrestabile corsa agli armamenti dell’epoca – se non si fosse trovata una “arena” (i.e. lo spazio) dove incrociare simbolicamente le armi. Non mi è chiaro se ciò sia stato fatto in maniera consapevole o no, ma non trovate anche voi che, vista sotto questa angolazione, la space race possa essere considerata, in una accezione ancora più ampia, un caso formidabile di space diplomacy?
Guarda il cinegiornale dell’epoca dedicato all’evento: