I campi magnetici permeano l’universo e rivestono un ruolo fondamentale in alcuni dei più conosciuti fenomeni astrofisici: dall’emissione radio da parte di nuclei galattici attivi, alla formazione stellare e ai dischi di accrescimento, passando per l’accelerazione dei raggi cosmici. I campi magnetici guidano inoltre quasi tutti i fenomeni complessi presenti sulla superficie del Sole, dei quali le manifestazioni più evidenti sono le macchie solari e gli anelli coronali. Questi ultimi sono costituiti da getti di plasma magnetizzato che, sospinti da una forza aggiuntiva che permette loro di contrastare temporaneamente la forza di gravità, attraversano la zona convettiva solare ed emergono sulla sua superficie formando, appunto, le tipiche strutture ad anello della corona. Tale fenomeno è noto in letteratura come galleggiamento magnetico.
In un articolo pubblicato la settimana scorsa su ApJ Letters, un dottorando del Gran Sasso Science Institute, Diego Vescovi, sotto la guida di Sergio Cristallo, ricercatore all’Inaf-Osservatorio astronomico d’Abruzzo, e in collaborazione con ricercatori dell’Università di Perugia e della Washington University di St. Louis (Usa), ha dimostrato che il galleggiamento magnetico è in grado di far “galleggiare” il plasma anche all’interno delle stelle giganti rosse, durante la loro fase di ramo asintotico – le cosiddette stelle Agb (Asymptotic Giant Branch).
Questo tipo di mescolamento, generalmente ignorato nei modelli evolutivi stellari, è generato da un campo magnetico toroidale. I ricercatori hanno dimostrato che il galleggiamento magnetico è in grado di “prelevare” un piccola quantità di idrogeno dall’inviluppo convettivo delle stelle Agb e portarlo negli strati sottostanti, ricchi di elio e carbonio. Quest’ultimo nella sua forma più abbondante (l’isotopo 12C) cattura i protoni, formando un nuovo isotopo, il 13C, che rappresenta la principale sorgente di neutroni nelle stelle Agb. Queste stelle sono vere e proprie fucine di elementi chimici, dal momento che si ritiene producano circa la metà degli elementi più pesanti del ferro presenti nell’universo.
In particolare, i nuovi modelli stellari sviluppati dai ricercatori dei due istituti abruzzesi sono in grado di riprodurre la distribuzione chimica dei presolar SiC grains. Questi sono minuscoli granelli di polvere di carburo di silicio (SiC), aventi dimensioni dell’ordine del micrometro, formatisi nelle zone più esterne di stelle Agb che si sono evolute prima ancora che il Sole si formasse. Una piccola quantità di questa polvere stellare si è mescolata con l’abbondante materiale della nube protosolare, rimanendo imprigionato nei meteoriti che sono caduti sulla Terra solo miliardi di anni dopo (come il meteorite di Murchison). La ricerca pubblicata fornisce i primi indizi sulle caratteristiche fisiche delle stelle che si trovavano nei dintorni del Sistema solare al momento della sua formazione.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Magnetic-buoyancy Induced Mixing in AGB Stars: Presolar SiC Grains”, di Diego Vescovi, Sergio Cristallo, Maurizio Busso e Nan Liu