Secondo quanto riportato in uno studio pubblicato oggi su Science, sembra proprio che – grazie a quelle che potrebbero essere definite previsioni meteorologiche estreme – siamo in grado di prevedere con grande precisione e affidabilità i brillamenti solari: massicce esplosioni di radiazioni elettromagnetiche, plasma e particelle cariche che avvengono nella parte superiore dell’atmosfera della nostra stella (la corona solare), innescate dal rapido rilascio di energia immagazzinata nei contorti campi magnetici delle regione attive, attorno alle macchie solari. La radiazione X emessa da un brillamento – o flare – e l’espulsione di materiale dal Sole che spesso accompagna i brillamenti, può avere potenti ripercussioni – in termini di meteorologia spaziale – sulla Terra, che possono comportare rischi per astronauti, satelliti e sistemi tecnologici a terra, come reti elettriche e di telecomunicazioni. Il tempo che abbiamo per correre ai ripari è di soli 8.3 minuti dopo l’inizio dell’evento – il tempo che impiega la luce del Sole ad arrivare sulla Terra – e pertanto riuscire a prevederli prima che esplodano è di importanza fondamentale. Man mano che la nostra società diventa sempre più dipendente da queste tecnologie, aumenta la necessità di metodi affidabili per prevedere questi eventi solari e diminuire i tempi entro i quali viene dato l’allarme, quando si verificano.
Nonostante decenni di studio e monitoraggio quasi continuo dell’attività magnetica del Sole, le condizioni e i meccanismi specifici che producono i flare sono sconosciuti, rendendoli particolarmente difficili da prevedere. Kanya Kusano e colleghi hanno presentano su Science lo schema k, un modello predittivo in grado di prevedere grandi brillamenti solari in modo più affidabile rispetto ai metodi precedenti. Utilizzando uno schema basato su processi fisici per derivare le soglie critiche di instabilità magnetoidrodinamica, l’approccio di Kusano è in grado di prevedere quando un flare solare è imminente usando le normali osservazioni magnetiche del Sole. Identifica anche dove si verificherà e quanta energia potrebbe essere rilasciata. Per testare il loro modello, gli autori hanno analizzato i dati dal Solar Dynamics Observatory della Nasa dal 2008 al 2019, scoprendo che lo schema k sarebbe stato in grado di identificare la presenza, l’ubicazione e le dimensioni della maggior parte dei brillamenti, fino a 20 ore in anticipo. In un altro articolo correlato, Astrid Veronig discute come il metodo migliori la nostra comprensione di come e perché avvengono i brillamenti solari.
«I brillamenti solari sono fenomeni energetici che avvengono nelle regioni attive solari, quando, in seguito a una instabilità della configurazione magnetica, campi magnetici di polarità opposta vengono schiacciati gli uni contro gli altri in una regione molto piccola e si riconnettono, liberando in modo impulsivo una grande quantità di energia magnetica convertita in energia cinetica su tempi scala di una decina di minuti», spiega a Media Inaf Mauro Messerotti, fisico solare all’Inaf di Trieste e senior advisor dell’Inaf per lo space weather, al quale abbiamo chiesto un commento. «Questo produce intensi lampi di radiazione elettromagnetica (raggi gamma, X, ultravioletti, radio), fasci di particelle accelerate ad alte energie (protoni, elettroni) e, spesso ma non sempre, bolle di plasma magnetizzato (eiezioni di plasma dalla corona solare, coronal mass ejection). I fotoni giungono sulla Terra in 8.3 minuti, iniettando energia in vari strati dell’atmosfera terrestre provocandone l’espansione e aumentando l’attrito dei veicoli spaziali in orbita bassa come la Stazione Spaziale Internazionale. Aumentano inoltre la ionizzazione della Ionosfera, uno strato di plasma tra 50 e 1000 km di altezza, modificando la propagazione delle onde radio fino all’interruzione totale a certe frequenze,e perturbando la ricezione dei segnali radio dai satelliti Gps fino a rendere impossibile la geolocalizzazione satellitare. Le particelle energetiche giungono alla distanza della Terra in circa 12 minuti, le più energetiche, e in varie decine di minuti le meno energetiche. Qui interagiscono con il campo magnetico terrestre, che entro certi limiti funge da schermo ma viene perturbato da questa interazione, e spesso possono penetrare lo schermo e venire intrappolate nelle fasce di Van Allen, costituendo un pericolo per la fisiologia degli astronauti e l’integrità dei veicoli spaziali. Inoltre, quelle che penetrano nelle regioni polari provocano interruzioni nelle comunicazioni radio a onde corte e sono quindi un pericolo sia per la sicurezza dei voli in aerei in rotte polari che per la salute di equipaggi e passeggeri».
«Le eiezioni di massa dalla corona solare arrivano sulla Terra in 36-48 ore e possono dare origine a intense tempeste geomagnetiche e alla generazione di correnti elettriche nella Ionosfera che, captate dai lunghi conduttori a terra, possono determinare il danneggiamento di trasformatori nelle centrali elettriche con conseguente blackout elettrico anche per molte ore», continua Messerotti. «Tutti questi effetti sono prodotti dai brillamenti solari (a volte anche dalle protuberanze eruttive) ed è quindi uno degli obiettivi primari della meteorologia dello spazio (space weather) disporre di efficaci algoritmi per la loro previsione con un certo anticipo, cosa particolarmente problematica a causa della grande varietà di brillamenti possibili. Comunque, la previsione del verificarsi di brillamenti solari è solamente un primo passo, poiché il previsore dello space weather ha bisogno di avere anche una stima di tutta la messe di fenomeni che un brillamento produrrà e della loro intensità, in modo da poter emettere una previsione la più competa possibile per l’utente finale».
Per saperne di più:
- Leggi su Science l’articolo “A physics-based method that can predict imminent large solar flares” di Kanya Kusano, Tomoya Iju, Yumi Bamba, Satoshi Inoue
- Leggi su Science l’articolo “Can we predict solar flares?” di Astrid M. Veronig