Ormai è assodato: anche le galassie hanno un cuore. Un grande cuore nero. Nel loro nucleo alberga infatti un buco nero supermassiccio, un mostro cosmico la cui massa può andare da qualche milione a qualche miliardo di masse solari. Ce lo ha mostrato anche la celebre “foto” del buco nero immortalato dell’Event Horizon Telescope al centro di M87. Ma c’è una questione tutt’altro che chiara: perché il cuore di alcune “batte” – o meglio: emette radiazione in quantità copiosa – mentre quello delle altre resta dormiente?
Le prime, quelle con il cuore che batte, sono le galassie che gli astronomi chiamano Agn – dall’inglese active galactic nuclei. Circa una galassia su dieci, almeno fra quelle a noi più vicine, è una galassia attiva. Le restanti – fra le quali la Via Lattea, la nostra galassia – hanno invece un nucleo molto più quieto e un’emissione limitata perlopiù a quella delle sue componenti principali – stelle, polveri e gas interstellare.
Uno studio pubblicato a metà luglio su Astronomy e Astrophysics offre ora la prima prova dell’esistenza di una caratteristica dinamica a grande scala che è significativamente diversa, per le galassie a spirale dell’universo locale, a seconda che siano Agn o non-Agn. Si chiama λR ci dice quanto è ordinata la rotazione del disco galattico, da zero (dispersione totale, non c’è alcun senso di rotazione o velocità prevalente) a uno (tutte le stelle ruotano in modo ordinato). Valori superiori a 0.8 indicano galassie con spin estremamente ordinato. Ebbene, usando i dati della survey Califa (Calar Alto Legacy Integral Field Area) – con dati spettroscopici su campi a due dimensioni completi per oltre 600 galassie, presi all’Osservatorio Calar Alto di Almería – un team di ricercatori dell’Instituto de Astrofísica de Canarias (Iac) ha scoperto che il valore di λR tende a essere significativamente superiore per le galassie a nucleo attivo. Un’indicazione del fatto che il moto rotazionale delle stelle è, per le Agn, un parametro importante.
«Studiare i meccanismi che controllano la relazione tra il nucleo attivo e il resto della galassia», spiega Ignacio del Moral Castro, studente di dottorato all’Iac e all’università di La Laguna e primo autore dell’articolo, «è necessario per comprendere come questi oggetti si formino ed evolvano, e per essere in grado di far luce su questo aspetto dobbiamo confrontare le galassie attive con quelle non attive. Essendo questo l’obiettivo, l’idea guida della mia tesi di dottorato studiare e confrontare galassie che siano quasi gemelle, diverse però per l’attività nucleare».
Ed è in quella parola gemelle la vera novità dello studio. Non mancano infatti tentativi precedenti di trovare una spiegazione alla presenza o meno di attività. Ma finora l’approccio consisteva perlopiù nel confrontare le caratteristiche di un campione di Agn con quelle di un campione dinon-Agn. Insomma, un confronto fra popolazioni – qualcosa di simile a quello che in epidemiologia sarebbe uno studio di coorte. Il metodo seguito dal team dell’Iac ricorda invece piuttosto gli studi che si compiono, per districarsi tra fattori genetici e fattori ambientali, fra coppie di gemelli: dunque un confronto uno a uno.
Anzitutto hanno identificato, fra le galassie a spirale della survey Califa, quelle dal nucleo attivo. Poi per ciascuna di esse hanno cercato una galassia “gemella” – il più possibile simile nell’aspetto, identica massa, luminosità, orientamento e così via – ma questa volta non attiva. Sono così giunti a selezionare venti coppie di galassie relativamente vicine (non più di 400 milioni di anni luce da noi) e, per ogni membro della coppia, hanno calcolato la differenza per il valore di λR (misurato nella regione dominata dal disco galattico). Scoprendo così che circa l’80-82 per cento delle galassie attive ha un valore di λR superiore a quello della gemella non attiva. Una differenza molto netta soprattutto fra coppie di galassie barrate, per le quali si arriva al 100 per cento.
Gli autori dello studio hanno proposto anche due scenari per rendere conto di questa differenza dinamica tra galassie attive e non attive. Nel primo, la spiegazione per il maggior grado di ordine dei dischi delle galassie attive sarebbe il trasferimento del momento angolare tra il gas che è caduto verso il centro e il materiale che rimane nel disco – il quale, per alimentare il buco nero, deve in qualche modo aver “frenato”. Il secondo scenario attribuisce invece la differenza all’afflusso di gas dall’esterno, tramite la cattura di piccole galassie satellitari vicine, nel qual caso tale cattura dovrebbe avvenire più frequentemente nelle galassie attive. Entrambi gli scenari sono compatibili con il risultato ottenuto e non si escludono a vicenda, sottolineano gli autori.
«Finora ritenevamo che tutte le galassie attraversassero fasi attive durante la loro vita, ma questo nuovo risultato potrebbe implicare che non è così, il che richiederebbe modifiche notevoli ai modelli attuali», conclude Cristina Ramos Almeida, ricercatrice all’Iac e coautrice dell’articolo.
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “Larger λR in the disc of isolated active spiral galaxies than in their non-active twins”, di I. del Moral-Castro, B. García-Lorenzo, C. Ramos Almeida, T. Ruiz-Lara, J. Falcón-Barroso, S.F. Sánchez, P. Sánchez-Blázquez, I. Márquez e J. Masegosa