L’EFFICIENZA È AUMENTATA DAL 20 AL 50 PER CENTO

SuperK super dopato per i neutrini delle supernove

Nelle scorse settimane, ai 50 milioni di litri d’acqua purissima del rivelatore per antineutrini giapponese Super-Kamiokande sono state aggiunte 13 tonnellate di sali di gadolinio. Obiettivo: captare gli antineutrini elettronici prodotti dalle supernove più antiche e distanti

     28/08/2020

L’aggiunta di sali di gadolinio è avvenuta dal 16 luglio al 20 agosto 2020. Crediti: Kamioka Observatory, Institute for Cosmic Ray Research, the University of Tokyo

Obiettivo raggiunto: dal 20 agosto scorso, nell’enorme cilindro contenente 50 milioni di litri di acqua purisssima del rilevatore di neutrini giapponese Super-Kamiokande (SuperK), c’è una concentrazione allo 0.01 per cento di gadolinio – ottenuta con il discioglimento graduale, durato oltre un mese, di 13 tonnellate di solfato di gadolinio. Drogato con questa terra rara (introdotta sotto forma di sale, perché il gadolinio puro non è solubile in acqua), SuperK dovrebbe essere in grado di realizzare uno fra i grandi sogni degli astrofisici: rilevare i neutrini prodotti dalle esplosioni di supernove extragalattiche – quelle più antiche e lontane.

I neutrini sono, insieme alle onde gravitazionali, i nuovi “messaggeri” che – da qualche decennio i primi, da pochi anni le seconde – affiancano i fotoni nell’impresa di portare agli astrofisici informazioni sulla natura di oggetti e fenomeni dell’universo. Per svelare i loro segreti, questi messaggeri vanno ascoltati e a volte torturati, ciascuno con il suo strumento: telescopi per i fotoni, interferometri per le onde gravitazionali e rivelatori a scintillazione o Cherenkov – come appunto SuperK – per i neutrini. Di solito, più il segnale da captare è debole (per esempio, perché il “messaggero” ha dovuto fare molta strada), più questi strumenti devono essere grandi: in superficie per i fotoni, in lunghezza per le onde gravitazionali e in volume per i neutrini. Decine o centinaia di metri quadrati per l’area degli specchi primari dei telescopi, bracci lunghi chilometri per gli interferometri, milioni di metri cubi per i rivelatori di neutrini. Ma non ci sono solo le dimensioni. A fare la differenza è anche la scelta di ambienti poco rumorosi: lo spazio per i telescopi, tunnel ultravuoti e specchi ultrafreddi per gli interferometri, laboratori sotterranei per i rivelatori di neutrini, sovrastatati da centinaia di metri di roccia – un chilometro, nel caso di SuperK – a fare da filtro per fermare le altre particelle. Infine, come vedremo, un ruolo altrettanto importante lo riveste l’efficienza dei rivelatori.

Tornando a SuperK, il messaggero che cerca di intercettare è una firma ben riconoscibile dell’esplosione di supernove: l’antineutrino elettronico. Il problema è che, nella nostra galassia e dintorni, di supernove ne esplodono assai di rado: l’ultima relativamente vicina, osservabile a occhio nudo, è stata quella del 1987 esplosa nella Grande Nube di Magellano, mentre per trovarne una nella Via Lattea tocca risalire fino a quella di Keplero, del 1604. Per non attendere decenni occorre dunque ampliare il raggio della ricerca, fino a comprendere le supernove extragalattiche. Ma i neutrini – o meglio, gli antineutrini – che queste ci inviano sono, appunto, troppo deboli.

Schema della reazione che si verifica nel cilindro di Super-Kamiokande al passaggio di un antineutrino. Crediti: Kamioka Observatory, Institute for Cosmic Ray Research, the University of Tokyo

Il team di SuperK ha però trovato il modo per aumentare l’efficienza del rivelatore. Come? Dopandolo. Già, perché è proprio questo l’effetto dell’aggiunta degli atomi di gadolinio avvenuta nelle scorse settimane: rendono i 50 milioni di metri cubi di “muscoli” di SuperK molto più reattivi. La reazione standard, quella con le sole molecole d’acqua, avviene attraverso un classico decadimento beta inverso: un antineutrino, interagendo con un protone, produce un positrone e un neutrone. Il positrone, annichilando (è una particella di antimateria), produce un flash – il cosiddetto segnale prompt, la scintilla che viene osservata dal rivelatore. Pochi microsecondi più tardi il neutrone viene a sua volta catturato da un nucleo di idrogeno, trasformandolo in deuterio ed emettendo un segnale gamma a 2.2 MeV. È proprio la sequenza di questi due segnali, con il ritardo caratteristico fra il primo e il secondo, la firma dell’antineutrino. Il problema è che l’efficienza di questo processo è del 20 per cento: in pratica, quattro neutroni su cinque gli sfuggono. Se, invece di esserci un nucleo di idrogeno, a catturare il neutrone vagante è un nucleo di gadolinio (vedi schema qui sopra), il segnale prodotto è di circa 8 MeV, e l’intero processo diventa molto più efficiente.

«Con una concentrazione di gadolinio dello 0.01 per cento, Super-Kamiokande dovrebbe rilevare i neutroni da collisioni di neutrini con un’efficienza del 50 per cento», spiega il supervisore del progetto, Masayuki Nakahata, dell’università di Tokyo, riferendosi alla concentrazione raggiunta la settimana scorsa. «Nei prossimi anni abbiamo in programma di aumentare la concentrazione per aumentare l’efficienza. Spero che entro pochi anni potremo osservare i neutrini di antiche supernove».